La Tragedia Barocca
LA TRAGEDIA ITALIANA TRA '500-'600 e nel '700-'800
Non solo Shakespeare! Anche la nostra tradizione letteraria può vantare delle tragedie! Vorrei soffermarmi brevemente su queste:
- Vittorio Alfieri : "Oreste", "Mirra", "Saul"
- Torquato Tasso : "Aminta", "Re Torrismondo"
- Alessandro Manzoni "Adelchi"
In queste Tragedie, ci troverete passione, omicidio, e un linguaggio lirico talmente elevato da sembrare musica; è il linguaggio a conferire fascino a queste opere, a mio parere.
Riporto qualche verso (le trame penso possano sembrare anacronistiche al giorno d'oggi per la maggior parte di noi)
Vittorio Alfieri:
Il lamento di Micol (nel "Saul"):
"Notte abborrita, eterna, mai non sparisci?... Ahi lassa me! In tenebre incessanti vivo pur sempre!"
"M'abbia il sepolcro innanzi,in quella reggia del dolore io stava sola piangente, i lunghi giorni."
Saul: "Bell'alba è questa, in sanguinoso ammanto!" "Questa? è caligin densa, tenebre sono, ombra di Morte..."
Elettra (nell' "Oreste"):
"Notte! funesta atroce, orribil notte! Presenta ognora al mio pensiero!"
Clitennestra: "Dal punto in poi, quel sanguinoso spettro e giorno e notte orribilmente sempre sugli occhi stammi."
Oreste: "Ei cadrà per me svenuto sulla tua tomba, dell'iniquo sangue non serberà dentro a sue vene stilla: tu 'l berrai tutto. ombra assetata, e tosto".
"Mirra"
Mirra: " O Morte, Morte, cui tanto invoco. Al mio dolor tu sorda sempre sarai?"
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Torquato Tasso: "Aminta"
"E altrettanto il verno ( = l'inverno) ha scosso i boschi de le lor verdi chiome ed ogni cosa tentato ho per placarla, fuor che morte."
Mentre nel "Re Torrismondo":
il lamento di Alvida: "Gir per la via lunga e tenebrosa errando: or le mura stillar sudare i marmi miro o credo mirar, di negro sangue, or da le tombe antiche, ove sepolte l'alte ( = nobili e famose) regine fur di questo regno."
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Il Manzoni in "Adelchi" canta la morte di Ermengarda:
"Sparsa le trecce morbide sull'affannoso petto, lenta le palme, e rorida di morte, il bianco aspetto, giace la pia..."
"Ah! Nelle insonne tenebre,pei claustri solitari, tra il canto delle vergini, ai supplicati altari, sempre al pensiero tornavano gl'irrevocati dì".
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E ora altri Autori, del 1500 e del 1600!
Federico della Valle e la sua tragedia "Reina di Scotia" (1591)
I primi versi dell'Opera:
"Morte è ne l'aria e il sostengan nembi, al cui penoso pié s'aggiran spirti; spirti, che stolti e lenti errando già fra voi, foglie cadenti, trassero i falli lor dal giorno e l'anno senza sentirne affanno. Alfin con un sospiro di consigliato senno falli e vita finirono: or piangono l'error e la tardanza in disperato duol, ma con speranza. Ma che giovò? Cesser tributi e scettri a poca terra oscura, chiamata sepoltura, orrida stanza, purtanto ha di degno, che'n lei riposan cheti mendicitate e regno, aspri contrari ai riposi mortali."
I dialoghi tra la Regina e la sua Cameriera:
Reina: "Mia vittoria sarà la sepoltura!
Ivi alzerò il trofeo de l'altrui crudeltade e del mio danno con poca terra oscura."
Cameriera: "Splenda ancora una volta, un giorno il sole al fortunato ben ch'or fingo e formo, e chiuda Morte poi rapida o lenta i languidi occhi in sempiterna Notte ché soave fiè 'l Sonno e caro letto il feretro e 'l sepolcro."
Reina: "O se fia mai ch'io giunga a riveder i campi de la mia patria amata del regno, ove già lungo antico rivo del sangue mio ben glorioso corse fra scettri e fra corone, ove'l cenere giace di tant'ossa onorate ond'ebber carne queste carni stanche, che dirò? Che farò? Qual sarà il core? Qual saranno i pensieri?"
Cameriera: "Or t'ha tronco aspro ferro ( = spada), e tetro sangue t'è orrido monile!"
Qui viene descritta la morte della Regina di Scozia, decapitata :
Maggiordomo: "Indi con sol duo passi s'è accostata a la terribil falce che 'n mirarla spirava orror, sì ampia e sì radente e ginocchion s'è posta."
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Carlo de' Dottori: "Aristodemo" (1654)
"Ministri, preparate un negro altare a Dite, uno alla Trina Ecate, alla Notte;" (sono tutte divinità infernali; nota di Lunaria)
"E nuovo latte e vino antico e sangue e di pigra palude onda pallida e grave di steril falce e di funebre tasso coronate le tempie e d'atre ( = oscure) bende."
Policare: "Ch'io viva?
Io ti dia tomba?
Io così vile, crudel, ti sembro?
E tal m'amasti?
E tale che se ferro mancasse o tosco( = veleno) o laccio non possa solo uccidermi il dolore?
Va, raccomanda l'ossa e l'onor del sepolcro a chi non deve
teco ( = con te) perir.
Attenderò sul lido la tua venuta e varcheremo insieme per le tenebre cieche e per l'ignote vie del sepolto mondo precederò."
Il monologo di Aristodemo dopo che ha assassinato la figlia:
"Rapitemi all'orrenda faccia del mio delitto,
O furia, O mostri, e renda il tetro carcere dell'ombre a queste luci mie più grato a petto.
Sommergete nel caos, che prima diede origine all'abisso...
M'odia l'Inferno, sì, ma non rifiuta di ricervermi in sé.
Mi consegni a me stesso; e qual maggiore mostro dell'odio mio, s'odio me stesso?
Il mio crudel errore poco vi rende e tolse molto: ma non è poco.
Un uccisor de' figli, un sacrilegio, un empio io levo al vostro demerito col cielo e della mia contagiosa fortuna io vi disgravo."
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Aurelio Aureli: "Medea in Atene"
Medo: "Triforme dea che ne' tartarei alberghi cinta d'argentei raggi fra gli orrori più ciechi, pallida luce al re de l'ombre arrechi...
Ma qual torbida nube copre di Cintia i vaghi rai ( = raggi) lucenti?
Mostruosi portenti!
Par che s'apra l'abisso, arde la selva e trema il suol con iterate scosse: queste son di Medea magiche posse" ( = poteri magici)
Il monologo di Medea mentre resuscita un cadavere, per predire il futuro:
"Aprasi quella tomba. Questi, che da Teseo cadè trafitto, a ravvivar m'accingo.
Tra quelle fredde labbra farò che sia costretto nudo spirto a piegar detti veraci; tu il tutto osserva, attento ascolta, e taci.
Dagli antri di Morte, dal centro profondo, spirto immondo, sù risorgi, invisibile ormai porgi anima, e voce a questa salma esangue. Sù favella, alma rubella ( = anima ribelle): di Teseo dì? Che sarà, regnerà? Calcherà d'Atene il soglio, e rapirà lo scettro?
Parla imago ( = immagine) di morte, orrido spettro."
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Ottavio Rinuccini:"Euridice" (1600)
Il monologo di Orfeo: "Funeste piagge, ombrosi orridi campi, che di stelle o di Sole non vedeste giammai scintill'e lampi, rimbombate dolenti al suon de l'angosciose mie parole, mentre con mesti accenti il perduto mio ben con voi sospiro: e voi, deh, per pietà del mio martirio, che nel misero cor dimora eterno, lagrimate al mio pianto, ombre d'Inferno... Lagrimate al mio pianto, Ombre d'Inferno. E tu, mentre al ciel piacque, luce di questi lumi fatti al tuo dipartir, fontan'e fiumi, che fai per entro i tenebrosi orrori? Lagrimate al mio pianto, Ombre d'Inferno."
Orfeo si rivolge al Re degli inferi:
"O de gli orridi e neri campi d'Inferno, O de l'altera Dite, Eccelso Re, che a le nud'ombre imperi, per impetrar mercede, vedovo amante, a quest'abisso oscuro volsi piangendo e lagrimando il piede."
Plutone: "Sì dolci note e sì soavi accenti non spargesti invan, se nel mio regno impetrasser mercé pianti o lamenti."
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Pietro Sforza Pallavicino: "Il martire Ermenegildo" (1644)
Re: "D'Ermenegildo spaventosa immago ( = immagine) sarà del mio pensier perpetuo Inferno:
in lei me stesso con orrore io scerno, l'uomo che fu, degenerato in drago. Questa trasformerammi in serpi i fiori; l'esche m'infetterà di fiele occulto. Il canto a me sembra farà singulto, e d'avello
( = tomba) un fetor gli arabi odori. E poichè Morte strapperà dal seno, tra gli urli, e tra l'orror l'animo afflitto, sparger non cesserà sul mio delitto fama con cento bocche atro ( = oscuro) veneno.( = veleno)"
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Benedetto Cinquanta: "La vorace e ingorda Morte si impossesa della città. La peste del 1630."
- il testo è una lunga litania dedicata alla Morte -
Tiburzio: "Ormai tocco con mano che prese di Milano aspro possesso la inesorabil Morte. Vibra tal insolente la sua falce più presto che baleno.
Compare in ogni luogo e fa pompa orgogliosa de' cadaveri estinti? Né vuol sentir le preci ( = preghiere) di chi devoto prega....
O che mostro odioso,
O spaventosa falce,
O corrotta sostanza,
O mostruosa vista.
Trista in modo che attrista e porta noia all'autor delle noie
( = il Demonio), orribil spoglia , che di vita spoglia questo orgoglioso e invincibile mostro, va per tutto spiegando nere insegne, fa che abbondin le lagrime e dolori, fa che s'odan lamenti e urli e pianti e rende il tutto mesto e melanconico."
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Gian Francesco Busenello: "L'incoronazione di Poppea" (1642)
Il monologo di Ottavia:
"Io vado a distillarmi in pianti amari, navigo disperata i sordi mari. L'aria che d'ora in ora riceverà i miei fiati, li porterà per nome del cor mio a veder, a baciar le patrie mura, et io starò solinga alternando le mosse ai pianti, ai passi insegnando pietade, ai tronchi e ai sassi, atti, sacrilego duolo, tu m'interdici il pianto, mentre lascio la patria né stillar una lagrima poss'io."