Luis de Gòngora y Argote


Qualche sonetto funebre


"IN MORTE DI DUE GIOVANI SIGNORE, SORELLE, NATIVE DI CORDOVA" (1582)

Sopra due urne di molato cristallo
da vitrei piedistalli sostenute
piange due ninfe già prive di vita
il Betis, alle sue umide dimore,
tanto da lui per lor bellezza amate,
che, mentre le altre ninfe addolorate,
così precoce morte piangono,
egli, spargendo stanche lacrime:

"Anime -dice- il vostro santo volo
penso seguir fino a quei sacri nidi
ove senza contrasto il ben si gode"

che la vostra beltà e il mio gran pianto
otterrà che il cielo ci tramuti
voi in gemelli ed io in acquario.



"OTTAVA FUNEBRE SUL SEPOLCRO DELLA REGINA DONNA MARGHERITA" (1611)

In questa che ammirate di pesanti pietre,
opera non egizia ma fiammante guglia
unguenti oggi privilegiano soavi
la morta umanità di Margherita.
Se di quanti la pompa degli uccelli
il funebre suo legno richiama
ve n'è che tale aroma stilla invano
resistendo al verme i tronchi suoi.


"SOLITUDINE PRIMA"
 
Nautica industria scoprì tale pietra,
che, come abbraccia l'edera lo scoglio,
essa il metallo fulminante abbraccia
di cui Marte si veste, e, lusinghiera,
il diamante irretisce che più brilla
nella notturna cappa della sfera,
la stella al nostro polo più vicina,
e con virtù non scarsa,
se distante l'alletta,
se innalza l'inclina,
ora alla loggia rosea dell'Aurora
bella, ora verso quella che suggella,
fredda cerulea tomba,
le ceneri del giorno.


"SOLITUDINE SECONDA"

Non aria modulata sono
ma dolenti lacrime soavi
questi miei gravi lamenti,
voci del sangue, sangue dell'anima.
Le affidi alla tua calma
o mar, chi già alla tua fortuna
le confidò più che al suo fato.


"IN MORTE DI TRE FIGLIE DEL DUCA DI FERIA" (1615)

Tre viole del cielo
tre di quei fiori ora caduche stelle
che la morte imperlò del suo gelo
fragrante marmo richiuda
se di un'alba eterna
non già cingessero la chioma


"LA CLESSIDRA"

Che vale, tempo tiranno,
la ristretta prigione
che di vetro ti costruimmo
per tenerti in mano
se trattenerti è vano.