Di Joseph von Eichendorff (1788-1857) ecco il "Desiderio di Morte", in cui una sensualità raffinata si appunta nel finale erotico-mistico della Notte, e un sonetto in Morte di Madonna, il più rappresentativo dello stile "petrarchismo romantico"
Prima che nell'azzurra acqua sprofondi
ancora sogna il cigno e canta ebro.
La terra stanca dopo lunga estate
versa nell'uve il suo residuo ardore.
Il Sole scintillando nel tramonto
mesce ancora alla Terra ardente fuoco,
finché, tutta stellata, non è sorta,
l'Ebbra ad accoglier, la mirabil Notte.
Se due bocche e due cuori sono divisi,
trasvolano i pensier burroni e monti
come colombe che per l'aria vanno
recando su e giù dolce messaggio.
Io erro invano per la Terra tutta,
ma se anche salissi sugli abissi,
più alta che quest'arie è la tua casa:
là voce non arriva né ritorna.
Poi che sei morta, il margine fiorente
la Vita tutt'intorno a me ritrasse:
e strada tu non trovi in questo mare.
Ma stella tu a me sei divenuta
che m'indica la patria col suo sguardo,
a che lotti il nocchiero pio co' vènti.
***
Parlando di Espressionismo Tedesco in letteratura, citiamo Georg Heym:
"Guerra" (1911) è una composizione che, dopo i bombardamenti aerei della II Guerra Mondiale, possiamo dire profetica:
E le fiamme divorano bruciando bosco dopo bosco,
gialli pipistrelli dentatamente agganfiati al fogliame,
picchia con la sua stanga come un carbonaio
negli alberi, a che il fuoco divampi a dovere.
Una grande città sprofondò nel fumo giallo,
si gettò muta nel ventre dell'abisso.
Ma gigante nelle rovine ardenti sta
colui che tre volte ruota la fiaccola contro selvaggi cieli.
Sul riflesso di nubi stracciate dalla tempesta,
nei freddi deserti della oscurità morta,
a che con l'incendio dissecchi tutt'intorno la Notte,
pece e fuoco sgocciolano su Gomorra.
E per quanto riguarda Stefan George:
"Il colle dove erriamo..."
Il colle dove erriamo in ombra giace,
mentre l'opposto in luce avvolto brilla,
la luna sopra i verdi prati gracili
or come bianca tenue nube oscilla.
Le vie lunghi accennando si scolorano,
lieve un sussurro il viatore ferma.
è forse acqua invisibile di monte?
è un uccello che canta ninna-nanna?
Sì presto le falene, insetti oscuri,
da stelo a stelo svolano scherzando...
Il ciglio in fiori e cespi or par maturi
odor di sera per un mal più blando.
"Porta Nigra"
Sventura a me che debbo ridestarmi
nell'età vostra, io che il fasto seppi
di Treviri, nel tempo che la gloria
condivideva della sorella Roma
ed uno sguardo vivido di fiamma
incontrava i cortei delle legioni
sonanti d'armi, nella vasta arena
i biondi Franchi in lotta co' leoni
e davanti ai palazzi le fanfare
e il divo Augusto sovra il cocchio d'oro!
Infine, una poesia dedicata a Nietzsche:
Ma tu stai raggiante al di sopra del tempo, come altri duci dalla corona insanguinata, tu redentore! E insieme il più infelice... Non creasti delle divinità solo per abbatterle?
Mai pacificato da una tappa, hai ucciso in te stesso ciò che ti è più prossimo per poi tremare ancora una volta agognandolo. E gridare nel dolore della solitudine. Venne troppo tardi chi ti disse implorandoti: là non c'è più un cammino che ti conduca oltre rupi coperte di ghiaccio e nidi di uccelli raccapriccianti. Ora è necessario rinchiudersi nella cerchia che schiude l'amore e quando poi la voce severa e addolorata risuonò come un canto di lode nella notte livida, e come un limpido flutto, così sfogò la propria pena: avrebbe dovuto cantare e non parlare questa nuova anima!
***
Nelly Sachs nasce a Berlino 1891, e si dedica alla musica e alla poesia fin da piccola.
Diventa amica della scrittrice svedese Selma Lagerlof, che si occuperà di ospitarla a Stoccolma, durante la repressione nazista, mentre gli amici e i parenti vengono purtroppo internati: un evento che influenzerà profondamente lo spirito di Nelly, il sentirsi sopravvissuta a discapito appunto dei suoi conoscenti.
Nel 1966 riceve il premio Nobel.
E ora qualche verso!
Creature di nebbia
andiamo di sogno in sogno
sprofondiamo attraverso mura di luce
dai sette colori.
Ma infine scoloriti, muti,
elemento di morte
nella conca cristallina dell'eternità
spogliati dalle ali notturne
di ogni mistero.
Ci esercitiamo già alla morte di domani
quando ancora appassisce in noi l'Antica Morte
oh, angoscia insostenibile dell'uomo
oh abitudine alla morte fin nei sogni
dove la notte si frantuma in nere schegge
e l'ossea luna rischiarare le rovine
oh angoscia insostenibile dell'uomo
dove sono i dolci rabdomanti
angeli di quiete, che toccano per noi
la segreta fonte che dalla stanchezza
stilla nella morte?
Qui, nell'ametista
sono racchiuse le ere della notte
e una prima luce intellettiva
accese la tristezza
che era fluida ancora
e piangeva
ancora splende il tuo morire
dura violetta.
Già gli estremi vogliano migrare
il cuore dell'acqua
e la luce del fuoco demonicamente stupefatta
le nascite fiorenti della terra
e l'aria che cantando lascia il respiro.
Nostalgia li costringe
l'invisibile aquila
lacera la sua preda
la riporto a casa.
L'uomo è così solo
scruta verso l'oriente
dove Melanconia appare nel volto del mattino.
Rosso è l'oriente per il canto dei galli.
Oh ascoltami
perdersi
nella smania del Leone
e nella sferza lucente dell'Equatore.
Oh ascoltami
appassire coi teneri volti dei cherubini
a sera
oh, ascoltami
nell'azzurro settentrione
vegliando di notte
già un bocciolo di morte sulle palpebre
avanti così verso la fonte.
CORO DEI SUPERSTITI
Noi superstiti
dalle cui ossa la morte ha già intagliato i suoi flauti
sui cui tendini ha già passato il suo archetto
i nostri corpi ancora si lamentano
col loro canto mozzato.
Noi superstiti
davanti a noi, nell'aria azzurra
perdono ancora i lacci attorti per i nostri colli
le clessidre si riempiono ancora con il nostro sangue.
Noi superstiti
ancora divorati da vermi dell'angoscia
la nostra stella è sepolta nella polvere.
Noi superstiti
vi preghiamo:
mostrateci lentamente il vostro sole.
Guidateci piano di stella in stella.
Fateci di nuovo imparare la vita.
Altrimenti il canto di un uccello
il secchio che si colma alla fontana
potrebbero far prorompere il dolore
a stento sigillato
a farci schiumare via.
Vi preghiamo:
non mostrateci ancora un cane che morde
potrebbe darsi, potrebbe darsi,
che ci disfiamo in polvere
davanti ai vostri occhi.
Ma cosa tiene unita la nostra trama?
Noi ormai, senza respiro.
La nostra anima è volata a Lui nella mezzanotte
molto prima che il nostro corpo si salvasse
nell'arca dell'istante
noi superstiti
stringiamo la vostra mano
riconosciamo i vostri occhi
ma solo l'addio ci tiene ancora uniti.
L'addio nella polvere
ci tiene uniti a voi.
Qualche verso di una poetessa austriaca, INGEBORG BACHMANN, morta tragicamente in seguito a un incendio.
MESSAGGIO
D'atrio celeste, tepido di salme, spunta il sole.
Non gl'immortali sono lassù
bensì i caduti, apprendiamo.
E lo splendore non si cura della corruzione. La nostra
divinità, la storia, ci ha riservato un sepolcro
da cui non vi è risurrezione.
NELLA BUFERA DI ROSE
Ovunque ci volgiamo nella bufera di rose,
la notte è illuminata di spine, e il rombo
del fogliame, così lieve poc'anzi tra i cespugli,
ora ci segue alle calcagna.
CORRENTE
Già così innanzi nella vita e prossima
alla morte, da non poterne disputare con nessuno,
strappo alla terra la mia parte:
trafiggo dritto al cuore il tacito oceano,
col verde cuneo, e tutta mi inondo.
Si levano uccelli di stagno e odor di cannella!
Col mio assassino, il tempo, io sono sola.
Ebbrezza e azzurro ci imbozzalano insieme.
CANTI DI UN'ISOLA (qualche verso)
Frutti di ombra cadono dalle pareti
luce lunare intonaca la casa
e cenere di spenti crateri
entra col vento marino.
....
I luoghi di supplizio sono deserti adesso:
ci cercano e non ci trovano.
....
Quando tu risorgi,
quando io risorgo,
non vi è pietra davanti alla porta.
Non vi è barca sul mare.
Qualche verso di un altro poeta di lingua tedesca!
GEORG TRAKL
"Malinconia"
Ombre azzurrine. Oh occhi scuri,
che mi guardate a lungo scivolando innanzi.
Accordi di chitarra accompagnano miti l'autunno
nel giardino dissolto in bruno ranno.
La seria cupezza della morte preparano
mani di ninfe, dai rossi seni suggono
labbra imputridite e in nero ranno
scivolano umidi riccioli del giovine solare
"Miseria umana "
...Pare udire anche un orrendo grido;
ossa rilucono tra mura in rovine.
"Canto della sera"
A sera, percorrendo strade oscure,
le nostre forme pallide ci appaiono dinnanzi.
"L'autunno del solitario"
Fruscia il canneto; piomba spettrale orrore
quando da spogli salici sgocciola
nera la rugiada.
"Primavera dell'anima"
Dove sono i tremendi sentieri della
morte, del grigio silenzio pietroso
gli scogli della notte
e le ombre inquiete?
Radioso abisso solare.
"Sogno e ottenebramento"
Amara è la morte
cibo dei peccatori
...
Purpurea nube gli circondava
il capo, così che tacito egli
cadde sul suo proprio sangue e
immagine, un volto lunare,
impietrito cade nel vuoto.
"Crepuscolo"
Nel cortile, stregato da lattiginosa luce di crepuscolo
tra il bruno dell'autunno scivolano teneri malati
....il loro male si richiude come spettro
le stelle diffondono bianca tristezza.
ANNETTE VON DROSTE-HüLSHOFF
(1797-1848)
IL FALò DEI PASTORI
Buio, buio alla palude
notte sopra la brughiera,
solo, a fianco del mulino,
veglia, mormora il canneto,
e sui raggi della ruota
si fan tonde le gocce e vengon giù.
...
Ma quel chiaro, là dietro le ginestre,
cos'è che i vetri accende?
Come scintille sprizzano,
e poi ricadono spente.
Ora, di nuovo, tenebre
Sento il tac dell'acciaio,
un crepito, bagliori,
ed ecco si leva la fiamma.
LA STEPPA
Sei mai stato alla spiaggia
quando il giorno e la notte si confrontano,
hai visto dalla creta e dalla sabbia
in rivoli di pioggia venir giù,
fonti segrete innumeri,
e poi, per quanto lo sguardo
riesce a spaziare, le onde
dal giallo colore di ranno?
LA CASA NELLA BRUGHIERA
Sembra stare in ascolto, nel crepuscolo,
il casale coperto di paglia,
lo stesso che un uccello dal suo nido,
nel fitto opaco dei pini.
....
Dai rami, sale, allora,
la stella della sera piano piano,
quasi a chinarsi, mite,
sul tetto della casa.
LA TOMBA MEGALITICA
All'ora che divide il giorno dalla notte,
giaceva la brughiera come un vecchio ammalato,
e il rantolo scuoteva il tappeto di muschio;
di scintille febbrili, elettrica, la chioma
sconvolta lampeggiava, e sopra, incubo scuro,
s'adagiava lo strato delle nubi.
.....
Una tomba preistorica, mi fu subito chiaro,
ed appoggiai la fronte al sasso con più forza
attingendo bramoso a qull'orrore dolce,
sinchè m'imprigionarono degli artigli gelati,
sinchè l'onda del sangue pulsò sotto il mantello
come spiccia una fonte dal ghiacciaio.
Sopra di me la volte, affondata e traversa,
dove un lume di luna dormiva, triste e pallido
come siede al sepolcro del consorte la vedova;
accanto, delle braci di un fuoco di pastori
sembravano, nel timo, quelle d'un rogo funebre,
così che col bastone le rimossi.
.....
Che braccia quella pietra voltolarono un giorno?
Chi calò sino al fondo questi macigni grezzi,
all'eco, per la landa, del compianto di morte?
E chi fu mai la maga, che percorse la valle,
con la sua verga e i carmi, nella luce serale,
spirando il vento nella chioma d'oro?
NEL MUSCHIO
Mandava già la notte al paese stanco di sole
i messaggeri cauti del tramonto,
e ancora stavo sola, un mezzo al muschio,
dei rami scuri al cenno familiare,
Mi sussurrava l'erba sulla gota,
profumava, segreta, la rosa di macchia.
Vedevo scintillare dietro al tiglio
una pallida luce, che le fronde
come una lucciola, reggevano, enorme,
incerta, quasi apparisse in un sogno.
...
E dopo, al cimitero, al monumento,
con scritti i nomi che il mio amore sa,
stavo e pregavo, le ginocchia rotte,
e -ma senti! una quaglia, un fil di vento-
mi vidi ancora, infine, come un fumo,
che lieve penetravo nei pori della terra.
Balzai su, e mi riscossi,
come chi esce da una morte apparente,
e barcollai lungo le siepi buie,
dubbiosa sempre se la stella fuori
fosse proprio la lampada al mio letto
a la luce perpetua sulla tomba.
AMORE ARDENTE
...
E senti, senti ancora:
laggiù, dentro lo stipo, un fazzoletto,
inzuppato di sangue,
che ho messo via in segreto.
Delle more cogliendomi dal rovo,
lui s'è ferito al filo del coltello;
adesso li possiedo tutti e due,
il sangue suo ed il mio amore ardente.
PAUL KLEE (qualche verso)
I miei occhi voraci volevano
sommare nuove ombre
se morirò, brilleranno molli,
due fiori notturni nel crepuscolo.
(1902)
Io sto all'erta
io non sono qui
io sono nella profondità
sono lontano....
io sono tanto lontano....
io ardo coi morti.
La mia anima cristallina
talvolta è turbata da un soffio
le mie torri si annuvolavano
la pena s'accosta all'amore
e senza nostalgia non posso
vivere né tanto né poco.
(1914)
Io voglio tenere la tua testa
e stringerla forte
e non devi abbandonare le mie mani.
Perchè nel dolore la mia forza
cresce fino alla disfatta.
(1900)
Diventa amica della scrittrice svedese Selma Lagerlof, che si occuperà di ospitarla a Stoccolma, durante la repressione nazista, mentre gli amici e i parenti vengono purtroppo internati: un evento che influenzerà profondamente lo spirito di Nelly, il sentirsi sopravvissuta a discapito appunto dei suoi conoscenti.
Nel 1966 riceve il premio Nobel.
E ora qualche verso!
Creature di nebbia
andiamo di sogno in sogno
sprofondiamo attraverso mura di luce
dai sette colori.
Ma infine scoloriti, muti,
elemento di morte
nella conca cristallina dell'eternità
spogliati dalle ali notturne
di ogni mistero.
Ci esercitiamo già alla morte di domani
quando ancora appassisce in noi l'Antica Morte
oh, angoscia insostenibile dell'uomo
oh abitudine alla morte fin nei sogni
dove la notte si frantuma in nere schegge
e l'ossea luna rischiarare le rovine
oh angoscia insostenibile dell'uomo
dove sono i dolci rabdomanti
angeli di quiete, che toccano per noi
la segreta fonte che dalla stanchezza
stilla nella morte?
Qui, nell'ametista
sono racchiuse le ere della notte
e una prima luce intellettiva
accese la tristezza
che era fluida ancora
e piangeva
ancora splende il tuo morire
dura violetta.
Già gli estremi vogliano migrare
il cuore dell'acqua
e la luce del fuoco demonicamente stupefatta
le nascite fiorenti della terra
e l'aria che cantando lascia il respiro.
Nostalgia li costringe
l'invisibile aquila
lacera la sua preda
la riporto a casa.
L'uomo è così solo
scruta verso l'oriente
dove Melanconia appare nel volto del mattino.
Rosso è l'oriente per il canto dei galli.
Oh ascoltami
perdersi
nella smania del Leone
e nella sferza lucente dell'Equatore.
Oh ascoltami
appassire coi teneri volti dei cherubini
a sera
oh, ascoltami
nell'azzurro settentrione
vegliando di notte
già un bocciolo di morte sulle palpebre
avanti così verso la fonte.
CORO DEI SUPERSTITI
Noi superstiti
dalle cui ossa la morte ha già intagliato i suoi flauti
sui cui tendini ha già passato il suo archetto
i nostri corpi ancora si lamentano
col loro canto mozzato.
Noi superstiti
davanti a noi, nell'aria azzurra
perdono ancora i lacci attorti per i nostri colli
le clessidre si riempiono ancora con il nostro sangue.
Noi superstiti
ancora divorati da vermi dell'angoscia
la nostra stella è sepolta nella polvere.
Noi superstiti
vi preghiamo:
mostrateci lentamente il vostro sole.
Guidateci piano di stella in stella.
Fateci di nuovo imparare la vita.
Altrimenti il canto di un uccello
il secchio che si colma alla fontana
potrebbero far prorompere il dolore
a stento sigillato
a farci schiumare via.
Vi preghiamo:
non mostrateci ancora un cane che morde
potrebbe darsi, potrebbe darsi,
che ci disfiamo in polvere
davanti ai vostri occhi.
Ma cosa tiene unita la nostra trama?
Noi ormai, senza respiro.
La nostra anima è volata a Lui nella mezzanotte
molto prima che il nostro corpo si salvasse
nell'arca dell'istante
noi superstiti
stringiamo la vostra mano
riconosciamo i vostri occhi
ma solo l'addio ci tiene ancora uniti.
L'addio nella polvere
ci tiene uniti a voi.
****
Qualche verso di una poetessa austriaca, INGEBORG BACHMANN, morta tragicamente in seguito a un incendio.
MESSAGGIO
D'atrio celeste, tepido di salme, spunta il sole.
Non gl'immortali sono lassù
bensì i caduti, apprendiamo.
E lo splendore non si cura della corruzione. La nostra
divinità, la storia, ci ha riservato un sepolcro
da cui non vi è risurrezione.
NELLA BUFERA DI ROSE
Ovunque ci volgiamo nella bufera di rose,
la notte è illuminata di spine, e il rombo
del fogliame, così lieve poc'anzi tra i cespugli,
ora ci segue alle calcagna.
CORRENTE
Già così innanzi nella vita e prossima
alla morte, da non poterne disputare con nessuno,
strappo alla terra la mia parte:
trafiggo dritto al cuore il tacito oceano,
col verde cuneo, e tutta mi inondo.
Si levano uccelli di stagno e odor di cannella!
Col mio assassino, il tempo, io sono sola.
Ebbrezza e azzurro ci imbozzalano insieme.
CANTI DI UN'ISOLA (qualche verso)
Frutti di ombra cadono dalle pareti
luce lunare intonaca la casa
e cenere di spenti crateri
entra col vento marino.
....
I luoghi di supplizio sono deserti adesso:
ci cercano e non ci trovano.
....
Quando tu risorgi,
quando io risorgo,
non vi è pietra davanti alla porta.
Non vi è barca sul mare.
***
Qualche verso di un altro poeta di lingua tedesca!
GEORG TRAKL
"Malinconia"
Ombre azzurrine. Oh occhi scuri,
che mi guardate a lungo scivolando innanzi.
Accordi di chitarra accompagnano miti l'autunno
nel giardino dissolto in bruno ranno.
La seria cupezza della morte preparano
mani di ninfe, dai rossi seni suggono
labbra imputridite e in nero ranno
scivolano umidi riccioli del giovine solare
"Miseria umana "
...Pare udire anche un orrendo grido;
ossa rilucono tra mura in rovine.
"Canto della sera"
A sera, percorrendo strade oscure,
le nostre forme pallide ci appaiono dinnanzi.
"L'autunno del solitario"
Fruscia il canneto; piomba spettrale orrore
quando da spogli salici sgocciola
nera la rugiada.
"Primavera dell'anima"
Dove sono i tremendi sentieri della
morte, del grigio silenzio pietroso
gli scogli della notte
e le ombre inquiete?
Radioso abisso solare.
"Sogno e ottenebramento"
Amara è la morte
cibo dei peccatori
...
Purpurea nube gli circondava
il capo, così che tacito egli
cadde sul suo proprio sangue e
immagine, un volto lunare,
impietrito cade nel vuoto.
"Crepuscolo"
Nel cortile, stregato da lattiginosa luce di crepuscolo
tra il bruno dell'autunno scivolano teneri malati
....il loro male si richiude come spettro
le stelle diffondono bianca tristezza.
***
ANNETTE VON DROSTE-HüLSHOFF
(1797-1848)
IL FALò DEI PASTORI
Buio, buio alla palude
notte sopra la brughiera,
solo, a fianco del mulino,
veglia, mormora il canneto,
e sui raggi della ruota
si fan tonde le gocce e vengon giù.
...
Ma quel chiaro, là dietro le ginestre,
cos'è che i vetri accende?
Come scintille sprizzano,
e poi ricadono spente.
Ora, di nuovo, tenebre
Sento il tac dell'acciaio,
un crepito, bagliori,
ed ecco si leva la fiamma.
LA STEPPA
Sei mai stato alla spiaggia
quando il giorno e la notte si confrontano,
hai visto dalla creta e dalla sabbia
in rivoli di pioggia venir giù,
fonti segrete innumeri,
e poi, per quanto lo sguardo
riesce a spaziare, le onde
dal giallo colore di ranno?
LA CASA NELLA BRUGHIERA
Sembra stare in ascolto, nel crepuscolo,
il casale coperto di paglia,
lo stesso che un uccello dal suo nido,
nel fitto opaco dei pini.
....
Dai rami, sale, allora,
la stella della sera piano piano,
quasi a chinarsi, mite,
sul tetto della casa.
LA TOMBA MEGALITICA
All'ora che divide il giorno dalla notte,
giaceva la brughiera come un vecchio ammalato,
e il rantolo scuoteva il tappeto di muschio;
di scintille febbrili, elettrica, la chioma
sconvolta lampeggiava, e sopra, incubo scuro,
s'adagiava lo strato delle nubi.
.....
Una tomba preistorica, mi fu subito chiaro,
ed appoggiai la fronte al sasso con più forza
attingendo bramoso a qull'orrore dolce,
sinchè m'imprigionarono degli artigli gelati,
sinchè l'onda del sangue pulsò sotto il mantello
come spiccia una fonte dal ghiacciaio.
Sopra di me la volte, affondata e traversa,
dove un lume di luna dormiva, triste e pallido
come siede al sepolcro del consorte la vedova;
accanto, delle braci di un fuoco di pastori
sembravano, nel timo, quelle d'un rogo funebre,
così che col bastone le rimossi.
.....
Che braccia quella pietra voltolarono un giorno?
Chi calò sino al fondo questi macigni grezzi,
all'eco, per la landa, del compianto di morte?
E chi fu mai la maga, che percorse la valle,
con la sua verga e i carmi, nella luce serale,
spirando il vento nella chioma d'oro?
NEL MUSCHIO
Mandava già la notte al paese stanco di sole
i messaggeri cauti del tramonto,
e ancora stavo sola, un mezzo al muschio,
dei rami scuri al cenno familiare,
Mi sussurrava l'erba sulla gota,
profumava, segreta, la rosa di macchia.
Vedevo scintillare dietro al tiglio
una pallida luce, che le fronde
come una lucciola, reggevano, enorme,
incerta, quasi apparisse in un sogno.
...
E dopo, al cimitero, al monumento,
con scritti i nomi che il mio amore sa,
stavo e pregavo, le ginocchia rotte,
e -ma senti! una quaglia, un fil di vento-
mi vidi ancora, infine, come un fumo,
che lieve penetravo nei pori della terra.
Balzai su, e mi riscossi,
come chi esce da una morte apparente,
e barcollai lungo le siepi buie,
dubbiosa sempre se la stella fuori
fosse proprio la lampada al mio letto
a la luce perpetua sulla tomba.
AMORE ARDENTE
...
E senti, senti ancora:
laggiù, dentro lo stipo, un fazzoletto,
inzuppato di sangue,
che ho messo via in segreto.
Delle more cogliendomi dal rovo,
lui s'è ferito al filo del coltello;
adesso li possiedo tutti e due,
il sangue suo ed il mio amore ardente.
****
PAUL KLEE (qualche verso)
I miei occhi voraci volevano
sommare nuove ombre
se morirò, brilleranno molli,
due fiori notturni nel crepuscolo.
(1902)
Io sto all'erta
io non sono qui
io sono nella profondità
sono lontano....
io sono tanto lontano....
io ardo coi morti.
La mia anima cristallina
talvolta è turbata da un soffio
le mie torri si annuvolavano
la pena s'accosta all'amore
e senza nostalgia non posso
vivere né tanto né poco.
(1914)
Io voglio tenere la tua testa
e stringerla forte
e non devi abbandonare le mie mani.
Perchè nel dolore la mia forza
cresce fino alla disfatta.
(1900)
***
AUGUST GRAF VON PLATEN
Nella traduzione di Carducci ecco "Il Pellegrino davanti a S. Just", cioè Carlo V, che avendo fatto rinuncia al trono imperiale, chiede ospizio e pace ai monaci di St. Just.
è notte, e il nembo urla più sempre e il vento.
Frati spagnoli, apritemi il convento.
Lasciatemi posar sino ai divini
misteri e al suon de' bronzi matutini.
Datemi allor quel che potete dare;
date una bara ed uno scapolare,
date una cella e la benedizione
a chi di mezzo mondo era padrone.
Questo capo a la chierca apparecchiato
fu di molte corone incoronato.
Questo a le rozze lane òmero inchino
levossi imperial ne l'ermellino.
Or morto in vista pria che in cimitero
ruino anch'io come l'antico impero.
"La Tomba del Busento"
Cupi a notte canti suonano
da Cosenza su'l Busento,
cupo il fiume gli rimormora
dal suo gorgo sonnolento.
Su e giù pe 'l fiume passano
e ripassano ombre lente:
Alarico i Goti piangono,
il gran morto di lor gente.
Ahi sì presto e da la patria
così lungi avrà il riposo,
mentre ancor bionda per gli òmeri
va la chioma al poderoso!
Del Busento ecco si schierano
su le sponde i Goti a pruova,
e dal corso usato il piegano
dischiudendo una via nuova.
***
Per eccellenza qualitativa spicca "L'Aratore di Boemia", opera di Johannes de Tepla in Boemia.
L'Autore si cela sotto il simbolo biblico dell'Aratore, e accusa la Morte che gli ha tolto la moglie Margherita.
Il lessico scelto, ricco, mirante, con l'abbondanza di sinonimi, la prosa rimata, servono a una virtuosa stilizzazione, medievale e umanistica insieme per forze e per spiriti, della passione per la moglie morta; mentre la costruzione solleva via via il contrasto fra l'Aratore e la Morte da una contesa a una disputa nella quale l'Aratore (che si sente rappresentante del genere umano e cui la vita è gioia) contrappone alla concezione rigoristica-ascetica medievale e chiesastica (rappresentata dalla Morte) la celebrazione dell'uomo, buono per natura, bello di corpo, signore di tutte le creature, capace di sollevarsi col suo pensiero all'idea della divinità e anche oltre; e il concetto platonico del circolo vitale, della trasmutazione e rinascita di tutte le cose, della preesistenza dell'anima.
La preghiera con la quale Johannes si volge a Gesù perché accolga nel suo regno l'anima della sua donna; riceve dalla protratta enumerazione degli attributi divini un effetto di grande intensità, forma uno splendido parallelo con l'inizio, risolve nell'invocazione di Dio il contrasto precedente.
"Guardiano sempre vigile di tutti gli uomini; Dio di tutti gl'Iddii; Signore, miracoloso Signore di tutti i Signori; Spirito che ogni altro eccede; Principe di ogni principato; Fonte, da cui fluisce ogni bontà; Santificatore di tutti i Santi; Incoronatore e corona insieme; Ricompensatore e ricompensa; Principe elettore, nelle cui elezione sta ogni elezione, beato colui che riceve da te vassallaggio! Gioia e delizia degli Angeli; conio delle forme; giovane vegliardo, esaudiscimi!
O Luce, che non riceve altra luce; Luce, che oscura e abbaglia ogni altra luce; splendore davanti a cui svanisce ogni altro splendore; splendore al cui paragone ogni lume è tenebra; luce, cui ogni splendore è ombra e ogni ombra riluce. (...)"
SALOMON GESSER
Gli "Idilli" di Gessner (1730-1788), poeta e pittore svizzero, furono molto popolari; i contemporanei scrivevano, delle sue poesie, "... natura vera e ben idonea ad accostarci l'umanità, a farci intendere meglio il nostro essere vero". "Poeta della natura e della virtù", "le pitture gessneriane del cuore umano spirano la più amabile filantropia, che sa colorire la felicità in mezzo ai boschi sotto mille diversi aspetti...".
Vi è un'idealizzazione pastorale, in Gessner, per usare le parole del Carducci "La poesia bucolica sorgendo sempre di mezzo a un'età raffinata, aspira e prosegue almeno esteriormente l'idealità d'una vita semplice e pura, che essa cerca di restaurare nella rappresentazione dell'idillio"
Nell'Idillio di apertura, Gessner stesso ha dichiarato la sua tematica, contrapponendosi alla celebrazione dell'eroico tipica del Seicento:
"Non degli eroi le sanguinose prove,
non i campi di Marte e la vendetta
canta la Musa mia, se il canto muove:
ma colle miti avene timidetta
fugge il fragor de' bellici metalli
ché sol de' fonti il mormorio l'alletta,
e poi colli s'aggira e per le valli,
per la selva, pei campi, o va tra il coro
delle Ninfe intrecciando allegri balli;
or solinga, or si piace irne con loro,
e, seggendo, alternar soavi accenti
sotto l'ombra or d'un mirto o d'un alloro.
E sol per te dolcissimi concenti
medita, o bella Dafne, e il caro nome
confida agli antri, alle foreste, ai venti."
Ed ecco l'incipit dell'Idillio sulla Primavera:
Qual armonia, qual estasi divina
m'invola dalle ciglia dolcemente
la soave quiete mattutina?
Io ti riveggo, o giovine ridente!
O Primavera, io ti riveggo! or venne
l'alba con te dal lucido oriente.
Te di dolcezze apportator perenne
segue Amor fanciulletto, e il prato e il colle
scorre librato sull'agili penne,
e medita vittorie, e sovra il molle
omero baldanzoso la leggera
faretra scuote, e l'arco d'oro estolle.
Te guidano danzando, o Primavera,
le belle Grazie con ingenuo vezzo
sui rai della nascente alba foriera.
La violetta al mattutino orezzo
impaziente il seno apre, e desia
sorriderti la prima il primo olezzo.
Sverna l'augello, e sull'aure t'invia
un dolcissimo accordo, e l'aure e l'onde
e le selve son tutte un'armonia.
T'annunziano i Favonj e le feconde
aure d'aprile, e all'armonia rispondono
dagli alti colli alle valli profonde;
mormorando pel bosco si diffondono,
e le Ninfe col sibilo tradiscono,
che ignote al pastorello ivi s'ascondono.
Le bellissime chiome altri rapiscono
delle fronti amorose, altri s'aggirano
dove le forosette i balli ordiscono.
Altri pei varchi delle grotte spirano,
e t'annunziano ai Satiri, che innalzano
grida festanti, e le sampogne aspirano.
Delle spelonche sonnacchiosi balzano
i capripedi Numi e le fuggenti
ninfe per monti e per foreste incalzano.
Dal le Najadi moto alle correnti
del lor segreto fonticel natio,
chiuso da le invernali aure inclementi;
e pei tremoli cerpi esulta il rio,
frangesi ne' macigni, e le foreste
sonano di perpetuo mormorio;
poi libero serpeggia or per le meste
ombre de' boschi or per le aperte rive
cui la prima di maggio erba riveste.
Ivi talor le boscherecce Dive,
ove l'onda è più fresca e più romita,
ritemprano l'ardor dell'ore estive.
Ecco, o fratelli, la stagion fiorita,
e colle animatrici aure serene
all'amore, alla gioia elle ne invita.