Salvatore Quasimodo


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Proviamo a leggere "Antico Inverno", tratto dalla raccolta "Ed è subito sera": ci colpisce l'estrema musicalità dei versi, delle parole.

Desiderio delle tue mani chiare
nella penombra della fiamma:
sapevano di rovere e di rose;
di morte. Antico inverno.

Cercavano il miglio gli uccelli
ed erano subito di neve;
così le parole.
Un po' di sole, una raggera d'angelo,
e poi la nebbia; e gli alberi,
e noi fatti d'aria al mattino.

La poesia sembra scritta seguendo le modulazioni di un ritmo segreto, che ora scorre piano ("Desiderio delle tue mani chiare\nella penombra della fiamma") ora diventa tormentato ("sapevano  di rovere e di rose\ di morte") ora si allarga in un respiro che tende a prolungarsi all'infinito ("e gli alberi\e noi fatti d'aria al mattino")
Il poeta colloca le parole su un fondo ideale di silenzio, lasciando al lettore il compito di ricostruire la trama del racconto, ridotto a pochi momenti essenziali; egli vuole far sentire "il suono" delle parole, la spontanea potenza evocativa delle immagini che ha scelto obbedendo alla misteriosa musica del ricordo.
Un simile modo di "far poesia" può riuscire incomprensibile: non poche poesie del Quasimodo ermetico sono in tutto o in parte un enigma per il lettore che non riesce ad andare oltre la pur suggestiva sonorità delle parole.
Qui, però, il nucleo della poesia è chiaro: sul filo del ricordo di un antico amore, il poeta rievoca un inverno lontano, accanto a un camino la cui fiamma illumina la stanza.
E nella stanza c'è "lei" che tende le mani verso il fuoco, mentre intorno aleggia uno strano senso di morte, cioè di fine della storia.
Poi, con un trapasso repentino, la visione ci trasporta nel paesaggio dell'inverno, dove gli uccelli sembrano fatti di neve e le parole si gelano sulle labbra.
In questo paesaggio un raggio di sole assume colori di paradiso ("una raggera d'angelo"), ma presto cala la nebbia. Ed ecco un altro trapasso: c'è l'ebbrezza di certi mattini limpidi, in cui gli alberi e gli uomini sembrano "fatti d'aria".
Nel Quasimodo ermetico c'è come un nodo di dolore che non si scioglie mai, il rimpianto continuo di un paradiso perduto, l'eco di una tragedia accaduta tanto tempo fa e di cui gli uomini scontano ancora e sempre le conseguenze.
Ma questo mondo di cupo dolore e di alta malinconia, questo mondo di irrimediabile solitudine ("Ognuno sta solo sul cuor della terra...")
il poeta ce lo rappresenta a scaglie e frammenti, con immagini improvvise e folgoranti, quasi a lui fosse toccato l'arduo compito di ricostruire un testo antico del cui originale restano solo poche parole illuminanti.

Leggiamo l'altro poesia, "Neve" e mettiamola a confronto con "Antico Inverno": 

"Neve"

Scende la sera: ancora ci lasciate
o immagini care della terra, alberi,
animali, povera gente chiusa
dentro i mantelli dei soldati, madri
dal ventre inaridito dalle lacrime.
E la neve ci illumina dai prati
come luna. Oh, questi morti. Battete
sulla fronte, battete fino al cuore.
Che urli almeno qualcuno nel silenzio,
in questo cerchio bianco di sepolti.

Il discorso poetico non ha rotture violente e sbalzi improvvisi e le parole non si collocano più sullo sfondo di un ideale silenzio.
La poesia è l'immagine dolente di una sera di guerra, con il suo triste richiamo ai morti, allo strazio delle madri. Il poeta si sente fratello degli umili, dei più poveri, di quelli che soffrono: si identifica con il loro destino.
Ma la tragedia che si compie sulla Terra non può lasciarlo indifferente: il male non può essere accettato supinamente, bisogna ribellarsi, rendere testimonianza al dolore di tutti ("Che urli almeno qualcuno nel silenzio")
Da questa rivolta nasce il Quasimodo nuovo, un poeta che a volte sembra parlare come il superstite di un mondo distrutto.
Malinconia e solitudine, i grandi temi del periodo ermetico, tendono a perdere il loro accento di dramma personale per farsi eco del dramma universale.

Quasimodo cantava una sua Sicilia mitica, traboccante di memorie greche, con una musicalità che ricorda la stupenda lirica della grande poetessa Saffo, e l'ha chiusa nel proprio cuore, portandola con sé sotto i cieli grigi della Lombardia.
è stato un poeta del nostro tempo che è riuscito a carpire agli antichi lirici greci il segreto della loro sublime arte.
Poeta ermetico all'inizio, Quasimodo si è a poco a poco "chiarito" ma senza rinnegare se stesso e i propri temi: anche quando il dolore della guerra, la partecipazione alle vicende della patria gli hanno dettato parole di accento universale, egli è sempre rimasto l'uomo "dolente" delle prime esperienze, l'emigrante che cantava "Di te amore m'attrista\mia terra, se oscuri profumi\perde la sera d'aranci."

Come tutti i veri poeti, il suo discorso è basato sui problemi eterni dell'uomo: chi siamo noi? che cosa stiamo a fare sulla Terra? qual è il nostro destino? Perché il male è inseparabile dalla vita?