Miklòs Radnòti
Qualche verso di Miklòs Radnòti, Poeta Ungherese nato a Budapest il 5 maggio del 1909 e morto il 9 novembre 1944. Le poesie sono tratte da "Mi capirebbero le scimmie" (1928-1944). L'Autore, di origine ebraica, venne perseguitato e rinchiuso in campi di lavoro in Ungheria e Serbia, infine fucilato.
"Disse: Caino parlò dunque con Abele" (1928)
Abele, fratello mio, ieri mi ha svegliato l'antica colpa,
ho ucciso i tuoi nivei sogni e mi sono trascinato
peccaminoso sulla strada notturna dell'inutilità
tra file di alberi tristi e gelati verso il mattino.
Le mie terre che sanno di sole piangevano vaporose dietro di me
il mio corpo cacciato, le notturne ansimanti ferite illuminavano
sul mio volto le rose rosse del pentimento e, come un mendicante,
rompendo la maledizione, ti chiamavo per il grande incontro.
Tu eri un santo e quando sei nato
aleggiava la devozione; nel mio lontano giorno
il cielo tuonava gravido, da assassino caddi a fatica,
come prima foglia dell'albero amaro che gemeva imprecando.
E sono diventato Caino, sul mio petto sporgente sorgeva il sole
e la fatica delle mie ginocchia portava l'aurora quando mi inseguivi,
scagliandomi dietro le tue parole di dolore,
rovesciandomi davanti agli alberi tristi e gelati,
guardie della mia fuga notturna.
Sono inciampato, l'ostacolo mi ha lacerato la carne,
sono caduto e ho ripreso la corsa, nero e biblico:
sono Caino e ieri mi ha svegliato l'antica colpa,
sono Caino e tu sei Abele!
"Perdonare" (1929)
Dormo il sonno bianco dei bambini che sanno di latte
e al mattino il mio cuore brilla
attorno allo strano splendente paesaggio del petto.
Questa notte ho vegliato il gregge
sulla collina della bontà, ma al giungere dell'alba
l'ho perduto e ora sono solo.
In silenzio chino il capo sul petto,
e lascio cadere il mio povero cuore
nel palmo mortale di qualche mendicante.
"Meditazione" (1929)
Ormai credo a tutto in silenzio:
di notte ho ascoltato la Sonata al Chiaro di Luna e l'Ave
Maria accanto a una sola
candela gocciolante - attraverso
la finestra le luci proiettavano
strane figure sul muro - ero seduto
con il cuore e le mani allacciati in preghiera -ave
ave!- anche la candela brucerà fino in fondo,
ma la mano dell'amata comunque è bella,
lunga, sottile, la amo molto,
e l'amore mi siede addosso
come sui muri dei vecchi templi
sopra la testa bianca dei santi siedono
e piccioni mansueti dagli occhi lucenti.
"Nota in margine al profeta Abacùc" (1937)
Le città
ardevano,
esplodevano
i villaggi!
Sii severo
con me Abacùc!
Le braci
nere
sono già fredde;
in me ancora
arde
il morso rovente!
Il mio cibo,
le mie bevande
sono amari.
Coprimi di fuliggine
fino ai piedi, tu,
nera rabbia!
"Dormi" (1937)
Da qualche parte uccidono sempre,
nel grembo della vallata
dalle palpebre chiuse, sulle vette che scrutano,
ovunque, e per consolarmi
invano dici che accade lontano:
Shangai o Guernica
la vicinanza al mio cuore è la stessa
della tua mano tremante,
o Giove, lassù!
Non guardare ora verso il cielo,
né verso la terra, dormi!
nella polvere scintillante della Via Lattea
è la morte che corre
e cosparge d'argento
le caduche ombre selvagge.
"Ti ho nascosto" (1942)
Ti ho nascosto a lungo,
come il ramo tra le foglie
il frutto che tarda a maturare,
e ora fiorisci nei miei occhi
come sullo specchio della finestra d’inverno
il fiore giudizioso del ghiaccio.
E so già cosa significa
quando posi la mano sui capelli,
e custodisco già nel cuore
il movimento della caviglia,
e il bell’arco delle costole
che ammiro con distacco,
come chi s’è riposato
su tali meraviglie che respirano.
Eppure nei miei sogni
spesso ho cento braccia
e come un dio in un sogno
ti stringo nelle mie cento braccia.
"Frammento"
Avrò vissuto un'epoca su questa terra
dove l'uomo si degradava al punto
che, senza un ordine, ammazzava con piacere;
finchè fu preda del disorientamento
la sua vita era un nodo d'idee forsennate.
Avrò vissuto un'epoca su questa terra
dove la delazione aveva il suo premio,
assassino, criminale o spia era l'eroe,
chi era lento all'applauso o chi taceva
come la peste si tirava addosso l'odio.
Avrò vissuto un'epoca su questa terra
dove per parlare chiaro ci si nascondeva
nella vergogna dello sconforto più nero
e il paese inferociva correndo verso
la sua fine, ebbro di sangue e d'orrore.
Avrò vissuto un'epoca su questa terra
dove il figlio esecrava la madre,
ogni donna era lieta se abortiva
e un morto putrefatto era l'invidia
del vivo con la tazza di veleno in mano.
[...]
Avrò vissuto un'epoca su questa terra
dove il poeta soltanto avrà taciuto
fidando che di nuovo risuonasse
- anatema adatto all'epoca - la voce
del profeta dal verbo tremendo, Isaia.
"Settima Egloga"
(qualche verso)
Vedi, imbrunisce, e l'atroce barriera di quercia
col fregio di filo spinato sta così sospesa che nel buio si dilegua.
Lo sguardo va lento oltre la cornice del campo,
la mente, la mente soltanto, conosce la tensione del filo.
[...]
Sonno disteso sul legno, un animale prigioniero, tra i parassiti,
tra un'onda e l'altra di puli quando l'orda delle mosche s'è placata.
Vedi, è sera, un giorno di prigionia
e un giorno di vita in meno. Il campo dorme.
Sul paesaggio splende la luna e quella sua luce il filo
spinato è nuovamente teso, dalla finestra seguo sul muro
le ombre delle guardie armate tra le voci della notte.
(Lager Heideman sulle montagne di Zagubica, luglio 1944)
"Lettera alla sposa"
(qualche verso)
Nei mondi taciturni della profondità muta
il silenzio urla nel mio orecchio, lancio un grido,
ma non può rispondermi nessuno dalla distante
Serbia svenuta in guerra
e tu sei lontana. La tua voce intreccia il mio sogno
e di giorno la ritrovo di nuovo nel mio cuore
dunque taccio, mentre mi ronzano attorno ritte
tante felci orgogliose dal tocco fresco.
[...]
Stavo ammirando nel cielo l'azzurro dei tuoi occhi,
ma s'è annuvolato, e le bombe in alto dagli aerei
avevano voglia di precipitare. Vivo contro di loro-
e sono prigioniero. Ho ponderato tutto quello in cui spero,
ciò nonostante so che ti ritroverò,
ho percorso per te la lunghezza interminabile dell'anima.
(Lager Heideman sulle montagne di Zagubica, luglio 1944)
L'ultima poesia di Radnòti fu trovata, scritta su un foglietto, nascosto nella tasca del suo impermeabile.
Descrive l'uccisione di un compagno, violinista; il poeta immagina d'istinto la sua fine, subito dopo quella dell'amico.
Gli crollai accanto, il corpo era voltato,
già rigido, come una corda che si spezza.
Una pallottola nella nuca - Anche tu finirai così -
mi sussurravo - resta pure disteso tranquillo.
Ora dalla pazienza fiorisce la morte -
"Der springt noch auf" (Lui salta su ancora) suonò sopra di me.
E fango misto a sangue si raggrumava nel mio orecchio.
Il Poeta fu ucciso dai fascisti ungheresi, che lo fucilarono insieme ad altri uomini non più "utili" ai lavori forzati. Dopo aver fatto loro scavare la fossa, li hanno fucilati.
Chi lo ha conosciuto dice che il poeta era solito affermare: "Ho vissuto e ho recitato i versi in ungherese e dovrò morire da ebreo".
Jòzsef Tornai ha così spiegato la frase in tedesco della poesia:
"Tra le morbide parole di casa quella dura immasticabile frase è dovuta all'estraneamento dello stato d'animo del poeta per l'avvicinarsi della morte, e per la precisione poetica l'espressione in tedesco riassume ciò che immaginava. Le parole tedesche rievocano l'uniforme nera, le SS con la pistola automatica, e le vediamo camminare e uccidere tra le file degli esseri sfiniti. Io vedo un selvaggio compiaciuto dalla faccia bionda che si china, lo vedo come se accadesse a me". E aggiunge: "Anche se si è scoperto che gli assassini di Radnòti non sono stati i tedeschi."
Riporto il commento della traduttrice di Radnòti, Edith Bruck, nata in Ungheria da una famiglia di ebrei, sopravvissuta alla deportazione, stabilitasi a Roma bel 1954, che ha tradotto anche Attila Jòszef, altro Poeta ungherese.
"Il suo canto non può essere fatto prigioniero da nessuna lingua, ma è messaggio universale, monito per l'uomo finché il dolce grido non lo assorda, e non si riappacifica con se stesso invece di continuare con le barbarie che si susseguono da quando l'uomo è uomo: se questo è un uomo."