Nota di Lunaria: IO NON SONO MUSULMANA. Tuttavia, avendo studiato anche qualcosa sul corano, sulla teologia e sul misticismo islamico, metto a disposizione di tutti il materiale che avevo trascritto.
Poesia Araba pre-islamica e islamica
La Letteratura Poetica Araba si può dividere in tre epoche:
- L'epoca pre-islamica (450): prima e seconda Giahilyya, "barbarie", ovvero la Poesia dei beduini (Badw) nel deserto. I nomadi vivevano di scorrerie (Ghazw), vendette per difendere l'onore (Sharaf) e culti politeistici. In genere, vi era un capotribù (Sayyid) o uno sceicco (Shaykh). La poesia era orale, e spesso, si tenevano delle vere e proprie gare di poesia: le poesie lunghe erano "Muallaqàt", quelle brevi, "Qasìda". Erano previsti balli di fanciulle alla musica dei flauti e dei tamburelli, vino di datteri, e la poesia migliore, premiata dalla giuria, veniva incisa con lettere d'oro e appesa nella Ka'abah.
Esisteva anche un gruppo di poeti-ladri, i Saalik.
I temi erano l'amore, l'avventura, il deserto.
- L'epoca dei califfi Omayyadi (661-750)
- L'epoca degli Abbasidi (750-1285)
Pietre e ancora pietre: aspre, aride, roventi sotto il sole che splende senza pietà in un cielo implacabilmente sereno.
Più in là declinano le montagne, qualcosa di immenso e uniforme come il mare: una distesa che riempie tutto l'orizzonte e sembra dover finire nella nulla.
Tutto ciò che significa vita è dimenticato, nel deserto; esso è il contrario di ciò che noi chiamiamo terra, intesa come luogo della vita.
E ci sembra addirittura assurdo che degli esseri umani possano vivere... eppure esiste un popolo, quello arabo, per il quale il deserto è stata la terra, un popolo che proprio qui ha vissuto l'alba della sua civiltà e qui ha spiegato i primi canti di una gloriosa tradizione poetica.
Fra le prime opere della letteratura araba, che ci sono pervenute, troviamo un drammatico documento di vita vissuta: "Il Canto del Bandito" attribuito al poeta brigante Shànfara (vissuto nel VI secolo dopo Cristo)
Io parto al mattino dopo un magro pasto, così come parte
un grigio argenteo sciacallo dai magri fianchi, che passa di deserto in deserto:
incede errando affamato contro vento, calando sui fondovalle in trotterellante corsa,
e quando il cibo lo distoglie da dove prima lo cercava, egli lancia un appello, e gli rispondono gli smagriti suoi simili;
sottili come falce lunare, bianco-grigi nei volti, vibranti come frecce agitate da un giocatore di maisir,
[…] Ho familiare la faccia della terra quando la prendo a giaciglio,
col ricurvo mio dorso cui rilevano le magre sporgenze delle vertebre,
e adatto a cuscino un braccio scarnito, le cui giunture sembrano dadi eretti, gettati da un giocatore.
[...] Quante sinistre notti, in cui l'arco spezzato e arso serve a riscaldare il padrone, assieme alle asticciole che gli facevan da frecce,
io sono uscito all'avventura, tra l'oscurità e la pioggerella battente, avendo a compagni disperata fame e congelamento, paura e brivido di terrore
[…]
Quante giornate di canicola, dal barbaglio fondente, in cui le vipere si torcono sui ciottoli arsi dal sole,
ho affrontato col viso senza riparo alcuno né velo, fuorché una bella veste rigata, ma ridotta a brandelli…
Nei versi del poeta Shànfara sentiamo "che cosa è il deserto": non un semplice ambiente sullo sfondo del quale l'uomo agisce come potrebbe agire anche in un altro luogo, ma una presenza costante, una realtà che determina direttamente e completamente la condizione umana.
Si noti il paragone dello sciacallo "dai magri fianchi": un'immagine cruda, estremamente realistica, che non ha niente del "volo poetico".
Nelle zone meno inospitali del Paese sorgevano città e castelli, tappe obbligate per le carovane nomadi.
In quei luoghi i capi riunivano le loro corti, di cui facevano parte i pochi poeti "professionisti" dell'epoca, paragonabili ai menestrelli e ai trovatori occidentali; questi poeti, che passavano di padrone in padrone, costituivano l'unico legame spirituale tra le diverse tribù in cui era diviso il popolo arabo.
I temi della loro poesia (la cui forma era la Qasìda, cioè una serie di doppi versi con un'unica rima) si riferivano agli elementi fondamentali della dura e difficile vita condotta dai nomadi: l'aspra natura del deserto, la compagnia del fedele destriero, le lotte e le implacabili rivalità fra le tribù, le gioie del vino e dell'amore…
Il tono di questa poesia, anche quando non è drammatico o disperato, rivela sempre un senso di malinconica solitudine e fatalismo pessimista.
*
Qui riporterò i versi di una Poetessa, Tumadir (Tamadur) dei Banu Sulaim, figlia di Amr, detta al-Khansà per la bellezza dei suoi occhi e del suo piccolo naso.
Nata nel 575 e morta nel 664, fu una Poetessa Mukhadram, vissuta a cavallo tra l'epoca pre-islamica e quella islamica.
Rifiutò di sposare un ricco sceicco, innamorandosi di Abd al-Uza. Divenne Poetessa di elegie del doloroso pianto, e sposò Murdas al-Sulmi. Anche la morte dei suoi fratelli Mu'awiya e Sakhr venne commemorata nelle sue elegie. La sua eredità fu raccolta dalla figlia Amra. Il genere "al-Khansà" è propriamente il compianto funebre.
Fieno oppure cenere fa lacrimare i miei occhi
al pensiero di una dimora cupa e abbandonata?
Il suo ricordo fa cadere incessantemente
lacrime calde sulle mie guance
come un diluvio
in piena, senza fine.
Piango per Sakhr
sepolto sotto la sabbia,
Piango continuamente
finché avrò vita
colpita e indebolita;
piango per Sakhr
e questo è quello che mi aspetta,
poichè il destino che complotta
questa volta mi ha colpita.
Il sorgere del sole mi fa ricordare Sakhr
e io lo ricorderò al suo tramonto...
Abu Muhammad Qasim al-Tamimi (Secolo XI)
E la tua vita non ebbe giorno,
già l'aurora era avvolta dalla notte
Da quanto splendono sembrano soli,
ma in ogni sole è inscritto il suo tramonto
Dolce mi è in te l'amara notte
quanta amara mi è in te la dolce luce.
Abu 'L-'Atahiya (748-828) "La Conoscenza Della Negazione"
La Morte è un diritto ma provo ancora gioia
come se della morte conoscessi la negazione.
Al- Ma'Arri (973-1058) "Oh Morte!"
Oh Morte, sana la mia vita e il male!
Quando il domani arriva, il giorno andato
non mi agita la vita che ha agitato.
Questa è la condizione del mortale:
ciò che è stato già ieri fra le mani,
non diverrà sostanza del domani.
Le Poetesse
SALWA AL-NEIMI (Siria) frasi tratte da "Il libro dei segreti"
"Nascondila dietro ai sorrisi, l'amarezza, dietro a occhi che luccicano.
Nascondila e cercati negli occhi altrui."
"Ho passato la vita dormendo. Il tempo passa inutile e agguanta con più precisione e non mi servirà a nulla.
Ma sì, ma sì, che le mie mani restino pure vuote, che il tempo passi pure inutilmente."
NADA AL-HAJJ (Libano)
"Evasione"
Se la nebbia è un'illusione, se l'onda è un'illusione
la fragranza è un'illusione, il sogno è una via,
distenderò il mio corpo come un ponte sulle illusioni.
Se la follia è un'illusione, l'attesa è un'illusione, il tempo
è un'illusione
visiterò le mie illusioni da sola prima di dimenticare l'ultima
mentre tu scriverai nell'ultimo brano dal titolo "Caduta":
ho lasciato l'esilio e l'approdo in cerca dell'incerto e
dell'ignoto
non sono riuscito a tornare, mi allietavano le visioni e le
particelle di anime in libertà
tra i respiri delicati per una libertà che cerca se stessa
il tempo dell'assenza è amico, la terraferma è al tramonto
le luci sono passate, le ombre si sono ritirate
quando lacererai i veli per conoscere i cieli?
INAYA JABER (Libano)
(qualche frammento)
In questo corpo morirò
nella sua magrezza inusitata.
Si insedia un lungo silenzio
quando ci incontriamo
la nostra massima attenzione alle mani
tra noi
ne è il motivo.
I tuoi passi sulla strada vuota
i tuoi passi sul suo rettilineo triste
la rimozione lenta
l'annientamento
di tutti i passi.
SUZANNE ALAYWAN (Libano)
"Disturbi della parola" (qualche verso)
Un viso rifiutato dagli specchi, dagli occhi, dalla patria
osservo nelle piogge che mi conoscono
più delle mie lacrime
dalle sorgenti lontane
forse quando le verso vedo il mio antico amore
[...]
Perché il mattino ha perso la tristezza
perché ho rinunciato al mio desiderio
e ho svuotato le parole dai loro infiniti disturbi
perchè, senza amori,
il mio cuore è la rosa dell'oscurità
il mio corpo è l'albero dell'assenza
perché l'inchiostro non è sangue.
*
Il peccato
il secondo vuoto
la sconfitta più profonda del perdono.
Come si chiama il vuoto
tra chi osserva la mia tomba
e il mio certificato di nascita?
MARAM AL-MASRI (Siria)
Lei che guardava
alla propria tristezza
come se fossero bolle di sapone
e passava il tempo
giocando con le unghie
mentre annegava.
A'ISHA ARNA'UT (Siria)
Silenziosamente
ha vissuto.
Silenziosamente
è morta.
Vulva inutile
dissero dopo aver saputo.
Io
sono caduta in ginocchio
innanzi al suo cadavere
le ho lacerato
il sudario
con le unghie
ho scritto sulla sua tomba
qualcosa.
Da quel momento
ho continuato a infrangere specchi
invano
cercandone uno
che non riflettesse
più, uno specchio
che infrangesse me.
Se dovessimo
dimorare nel passato
I nostri occhi
guarderebbero sempre
all'indietro.
Mi preoccupa
che l'acqua sia priva di colore
l'aria priva di sapore
l'imene
privo di lacrime.
Non siamo altro che una delle probabilità dell'esistenza.
La nostra vita... un equivoco di possibilità concesse
HODA ABLAN (Yemen)
"Frammenti"
Quando se ne è andato
di lui mi è rimasto
solo me stessa.
"Confessione"
Talvolta, la sera, scoppio a piangere
poi mi adiro per le mie lacrime,
che hanno illuminato il mondo e consumato me.
"Angolo"
In un angolo oscuro della stanza
della mia ferita
intravedo un'ombra
due ombre
fili di ombre che danzano con aghi di fuoco
che lavorano il freddo fuori dalla soglia
li indosso
e il mio desiderio trema.
"Inizio"
Tu sei lì, costruisci una casa
e io sono qui, distruggo un ricordo:
la nostra casa, aperta a tutti
e la mia memoria che era aperta al tuo viso
"Straniero"
Nessuno appartiene alla rosa
tranne il suo sciogliersi
nella mano di un triste amante
che la coglie dal terrore
ogni mattina
e la pianta nel vaso una lacrima
che tracima di dolore. Le insegna come canta l'amore
e come respirare il segreto
che si cela dietro gli occhi
così che si possa rivelare
senza parole.
FATIMA NA'UT (Egitto)
"Un fiore sulla mano di una donna" (qualche verso)
Il mazzo di rose
che tra un minuto avrò in mano
è portato da una mano che perfeziona le parole
il tuo corpo è stato consumato dalle donne
il mio corpo
è stato consumato dalla ruggine.
NAZIM AL -MALA ' IKA (Iraq)
"Io" (qualche verso)
La notte chiede chi sono
sono la sua insonne intimità profonda e oscura
sono la sua voce ribelle.
Velo la mia realtà con il silenzio
e avvolgo il mio cuore nel dubbio.
è triste, fisso lo sguardo
mentre i secoli mi chiedono
chi sono...
anch'io mi chiedo chi sono.
Sono la confusione che fissa le tenebre
nulla mi da pace.
Continuo a porre domande, ma la risposta
continuerà a celarsi in un miraggio,
continuo a credere che sia vicina
ma se la raggiungo svanisce
s'estingue e scompare.
"Anno Nuovo"
... Se solo temessimo la foglia
se solo le nostre vite potessero essere
disturbate dal viaggio
o da un colpo,
o dalla tristezza di un amore impossibile.
Se solo potessimo morire come le altre persone.
DUNYA MIKHAIL (Iraq)
"Che cosa c'è di nuovo?" (qualche verso)
... Tombe disperse con i semi della mandragora.
Un suono piagnucoloso penetrò il nugolo di persone.
I giardini rimasero sospesi,
paglia sparsa le parole.
... Altre cose stanno accadendo
in segreto
non so che cosa siano.
Questo è tutto.
AMAL AL-JUBURI (Iraq)
"Il velo della scrittura"
Non è la bellezza che mi riconduce a te, Scrittura,
bensì la perdizione dell'anima.
Bellezza,
sei diventata un corpo meschino
nell'anima delle parole.
"Il velo dell'inganno"
E disse ancora Iblis (*) :
Signore, perché tu mi hai ingannato,
ecco, Io farò bella agli occhi loro
ogni turpitudine sulla terra
e ingannerò loro tutti
(Corano XV, 39)
Se solo non lo avessi ingannato
non lo avrebbe fatto.
perché, Signore, lo hai fatto?
(*) Iblis è il Satana della tradizione islamica.
"Enheduanna e Goethe" (Enheduanna è stata una sacerdotessa-poetessa sumera, vissuta tra il 2285 e il 2250 a.C)
(qualche verso)
... Perché mi biasimi quando chiamo
a raccolta
le schiere di amanti ed esiliati
nel cimitero dei giorni?
Hai risvegliato donne che ho rinchiuso
nelle prigioni dell'inferno.
Occidente, sono perniciosa....
Nessuna pietà nel mio cuore.
Ma sono la sacerdotessa dell'immenso dolore.
GOLALA NURI (Iraq)
"Verde Profumo"
Mi manchi
mi appoggio ad un'ombra con monotonia
sospinta dalla noia, dal freddo, dai rumori
perché rifiutata in silenzio e continuamente.
Ogni volta che ricordavo
che il tuo cuore è consacrato al passato
e che io sono solo il verde profumo,
il corpo ti attraversava con dignità
e le notti erano solitarie.
"Nero"
Hanno rubato la notte.
Mi rimane solo il tuo cuore
nero
per iniziare un nuovo giorno.
WAFAA LAMRANI (Marocco)
"Emorragia"
La solitudine delle notti mi consuma
addenta la mia passione
e poi mi sputa come un frammento
per il bagliore fuggente.
"Schema"
Nego tutte le condizioni e sono
stanca anche di negare.
Se solo ci fosse un giorno,
un colore,
un significato.
FAWZIYYA ABU KHALID (Arabia Saudita)
"Esperimento"
Ha mescolato acido di inchiostro con il sale
del mare e ferite dell'anima.
Ha mescolato
ha scritto su un deserto calloso
e cartaciemente
ali e desideri
e ha cercato di volare.
"Tomba"
Crampi tormentano il mio corpo...
Se dovessi respirare profondamente
la pelle si lacererebbe.
"Poema D'Acqua"
Ha intinto le dita nel deserto
e ha scritto con l'acqua del miraggio una poesia... che
cade
cade
cade
in ritmo impercettibile.
ZHABIYA KHAMIS (Emirati Arabi Uniti)
"Naftalina"
Trappola dell'esistenza che conduce
ad un suicidio esemplare
questa è la vita straordinaria di un corpo
che mangia, dorme, e osserva il mondo,
sino a essere invaso di naftalina
apogeo dei desideri compiuti.
Volto senza sorpresa
e oggetti abbandonati dalla catena del tempo.
MAISUN AL-SAQR AL-QASIMI (Emirati Arabi Uniti)
"Un folle che non mi ama"
L'instabile incedere dei giorni si sgretola
e si placa solo quel che sporge dalle nostre finestre.
Acquista forza con il vento che
lo trasporta sulle spalle
e lo fa volteggiare.
Così come i giorni ci hanno fatto volteggiare.
... Non scambierò il mio corpo per un'ombra
che attraversa un cielo vicino.
Non lascerò il luogo,
perché il luogo è l'essenza del dolore
... Cerco il tuo viso nel sangue delle genealogie
ho detto. Tu non mi ami
e nulla rimane nel corpo
tranne questa mia esangue anima.
HAMIDA KHAMIS (Bahrain)
"Estasi d'amore"
Come posso disperdere
questa nostalgia
affinchè la sua parola possa alleggerirsi
nel mio sangue?
FATIMA MAHMUD (Libia)
Voglio
indossare
ferite
che mi assomigliano
FAWZIYYA AL - SINDI (Bahrain)
"Alla stanza, alla sua porta sempre nascosta"
(qualche verso)
Per chi è l'azzurro di questo abito
che ha le vertigini come il fondo del mare
su quale ti abbandoni rapidamente?
è senza esitare
indossi quel che assomiglia al sangue qualora lui dovesse morire
non sai che si tratta di inchiostro sprecato?
il tuo corpo è forse un'imbarcazione offerta alla rivelazione?
oppure una tomba riparata dalle onde?
*
Perché tutta questa asfissia?
l'aria riversa gemiti
per privare con la delicatezza della corrente
te e il tuo viaggio affrettato
e un brivido scorre per l'arteria
per chi, per chi combatti?
*
Una donna annulla l'indifferenza della vita
con le pietre delle parole che non l'ascoltano
per vedere il fiume delle parole ampliarsi
in lente acque alla cui vista non sfugge nulla.
Di chi hai paura?
Sei forse tu?
FADWA TUQAN (Palestina)
"Solo tu solo tu"
Nuda sotto il sibilo del sole
solo tu ti rinchiudi
nel deserto della stanza vuota
ti asciughi e ti interroghi
come un impiccato che oscilla senza risposta
attraverso un vuoto, dentro un vuoto, dietro un vuoto.
JOUMANA HADDAD (Libano)
"Il ritorno di Lilith"
(qualche verso; il testo originale è un poema; è interessante notare come queste poetesse, spesso imprigionate o che vivono come rifugiate, nelle loro poesie abbiano dato voce a due figure forti femminili: la figura mitologica di Lilith, personificazione del sesso femminile, autonomo e fiero, e la sacerdotessa-poetessa sumera Enheduanna, personificazione del potere spirituale, di riflesso, della Dea Madre, Dea Creatrice, quasi a proporle come eroine contro il potere maschile-islamico fondamentalista )
Io sono Lilith, la Dea delle due notti
Io sono Lilith, la donna che ritorna dall'esilio-destino
nessun maschio le è mai sfuggito
e nessun maschio desidera sfuggirle.
....
Io sono la donna-paradiso che cade dal paradiso
e sono la caduta-paradiso
....
Io faccio l'amore e mi riproduco per creare un popolo del mio lignaggio
poi uccido i miei amanti per lasciare spazio a coloro che non mi hanno ancora conosciuta.
....
Perché Io sono la prima e l'ultima
la cortigiana vergine
la concubina temuta
l'adorata disprezzata
e la velata nuda.
Perché sono la maledizione di ciò che precede.
Il peccato scomparso dai deserti
quando abbandonai Adamo.
"Il tuo paese, questa notte ardente"
Il tuo cielo che in alto dimora
addolcisce la noia
la tinge di una fragranza cupa
come l'orizzonte conquistato.
Dimmi come può la tua immaginazione custodire l'essenza
come possono i tuoi desideri cicatrizzarsi all'alba
e spingere la tua brama a denudarsi?
Come può ogni levar del sole possedere una lama straniera,
come puoi?
***
Poesia Sufi
Il sufismo ("Tasawwuf") è il misticismo dell'Islam.
Deriva da "suf", "lana ruvida" perché gli asceti musulmani si vestivano così, riunendosi in confraternite (turuq, plurale tariqa)
Non sempre venne o è tollerato, perché le manifestazioni estatiche sono ritenute scandalose dall'islam ufficiale.
"Sull'oceano della luce" di Savetbeg Bašagic-Redzepašić
Sull'oceano della luce
una piccola brace scintilla;
quando l'Eterno creò il mondo,
questa brace s'è accesa.
Venti tempeste e uragani
si sono accaniti a spegnerla,
ma lei sempre scintilla,
brillante, come un falò.
Molti spiriti hanno avuto desiderio
di catturarne la fiamma,
ma lei sempre si allontanava,
lasciandosi dietro la propria ombra.
Ai secoli si succedono i secoli,
senza posa periscono gli spiriti,
ma a questa brace sacra
nessuno ha rapito la scintilla.
E io, errando alla sua ricerca,
sono immerso in dolci sogni;
la bramo, la desidero,
la ammiro e la venero.
Ma il mio desiderio è senza speranza,
poiché mai la toccherò;
chi coglierà questo grande segreto:
donde viene il profumo del fiore?
Sull'oceano della luce
scintilla una brace splendente;
ciascuno si sforza di coglierla,
ma il suo segreto è insondabile.
"Il cuore, specchio del divino" di Ghazali
Si consideri uno specchio ossidato del quale la ruggine copra la superficie, offuschi la chiarezza e impedisca alle nostre immagini di imprimervisi. Di norma uno specchio è suscettibile di ricevere le immagini e di rifletterle tali e quali. Dunque colui che vorrà rimetterlo a nuovo, dovrà assolvere due ardui compiti: strofinare e lucidare (...) [L'uomo] se si sforza di lottare contro se stesso, raggiungerà l'orizzonte degli angeli. Se cedendo agli appetiti persiste a provocare le cause che determinano l'accumulo della ruggine sullo specchio dell'anima, la sua attitudine a riflettere il vero si eclisserà totalmente.
"Per i mistici Dio fa parlare ogni atomo dei cieli e della terra della sua onnipotenza, in maniera tale che essi intendono come tutto proclami la sua santità, canti le sue lodi e confessi la propria impotenza (...) Una conversazione senza restrizioni né limiti, poiché essa consiste in parole che provengono dal mare delle parole di Allah, che è senza limiti..."
"Un cuore bianco come la neve" di Rumi
"Purificati degli attributi dell'Io, per poter contemplare la tua propria essenza pura, e contempla nel tuo cuore tutte le scienze dei profeti: senza libri, senza professori, senza maestri.
Il libro dei sufi non è composto di inchiostro e di lettere; non è nient'altro che un cuore bianco come la neve"
"Quiete"
Sei arrivato ai torrioni del cuore: fermati qui.
Poiché hai visto questa luna, fermati qui.
Hai tanto trascinato i tuoi panni logori
per ogni dove, per ignoranza: fermati qui.
Una vita è trascorsa, e della grazia di questa luna
tanto e tanto hai sentito parlare: fermati qui.
Rimira questa bellezza, poiché la sua visione
è quella che ti rende invisibile o visibile: fermati qui.
Il latte che scorre nel tuo seno è quello che hai bevuto al seno: fermati qui.
Frequenti negli scritti sufi sono l'accento sulla bontà verso tutti gli esseri, inclusi gli animali e le piante.
Si veda il brano di Rumi "L'ombra dell'albero sconosciuto"
Un giorno un uomo si fermò davanti a un albero. Vide foglie, rami, frutti strani. Domandava a tutti che cos'erano quell'albero e quei frutti. Nessun giardiniere poté rispondere: nessuno ne sapeva il nome né l'origine. L'uomo si disse: "Io non conosco quest'albero, né lo comprendo; so però che da quando l'ho scorto il mio cuore e la mia anima sono divenuti freschi e verdi. Andiamo dunque a metterci sotto la sua ombra."
Frequente, negli scritti sufi, il riferimento al velo: "La morte sarà dunque il sollevamento dei veli che nascondono la Realtà Ultima. Il sonno, fratello della morte, aveva già potuto far presentire all'anima che oltre la realtà apparente esiste un'altra vita. Iddio accoglie le anime al momento della morte: egli riceve pure quelle che dormono senza essere morte"
"L'Angelo del Sonno" di Rumi
Alla preghiera della sera, quando il sonno si corica, la via dei sensi viene sbarrata, e si socchude la via dell'invisibile.
L'angelo del sonno conduce le anime fino alla soglia,
come un pastore che vegli sul suo gregge.
Nell'al di là dello spazio, nelle praterie dello spirito, quali strane città, quali giardini strani, fa loro vedere; l'anima contempla mille forme, e meravigliosi visi, quando il sonno cancella in lei l'impronta di questo mondo.
Si direbbe che l'anima abbia sempre abitato quei paesi, essa non si ricorda di quaggiù, e non prova tristezza.
Da tutte le cose materiali per le quali trepidava
si è distaccata, in modo che nessun pensiero più la stringe.
Da "La scala dell'essere" di Rumi: "[...] Supera la condizione stessa degli angeli: penetra in questo oceano, affinché la tua goccia d'acqua possa divenire un mare..."
"Teofania" di Rumi
Una luna apparve in cielo, la mattina:
dal cielo discese, e gettò su di me uno sguardo;
come un falcone che ghermisca un uccello nella caccia, quella luna mi rapì e mi trasportò nell'alto dei cieli.
Quando guardai me stesso, non mi vidi più,
poiché in quella luna il mio corpo, per grazia, all'anima si era fatto eguale.
Quando viaggiai nella mia anima, nient'altro vidi che la luna, sinché intero fu rivelato il segreto dell'eterna teofania.
Le nove sfere del cielo erano tutte immerse in quella luna, e in quel mare era nascosta la navicella del mio essere.
Il mare si ruppe in onde, e di nuovo l'intelligenza apparve;
essa lanciò un appello. Così accadde.
Il mare divenne schiuma, e ciascuna delle sue falde
qualcosa prendeva forma, qualcosa si incarnava.
Ogni falda di schiuma corporale, che ricevette un segno da quel mare, subito si fuse, e spirito si fece in quell'Oceano.
"La donna e il cane" di 'Attar
Disse il Profeta: c'era una donna dai costumi depravati, peccatrice, impudica, insudiciata.
Un giorno che attraversava la campagna, scorse sul suo cammino un pozzo al cui bordo un cane ansava per la sete, la lingua penzolante; piena di tenerezza, lei rinunciò a quello che doveva fare.
Fatto un secchio delle scarpe, e corda del mantello, attinse l'acqua e la diede da bere al cane. Nei due mondi la esaltò Iddio, per questa buona azione.
La notte che compii la mia ascesa, io la vidi, bella come la luna, che abitava il paradiso.
Una così grande ricompensa ebbe da Dio una donna depravata, per aver dato da bere a un cane.
Tu, se un solo istante consoli il cuore di un altro, più grande dei due mondi sarà la tua ricompensa.
"L'anima mia è il velo del suo amore" di Hafiz
L'anima mia è il velo del suo amore
il mio occhio è lo specchio della sua grazia;
né davanti alla terra né davanti al firmamento
mi prosternai; ma i suoi favori hanno fatto piegare
uno spirito troppo fiero per abbassarsi.
Quel tempio della venerazione, che nessun peccato,
ma solo lo zefiro può accostare:
chi sono dunque io, per avventurarmici?
E tuttavia ben macchiata è la mia vista:
forse questo ferirà il Purissimo, l'Altissimo?
Egli è passato accanto alla rosa,
ed essa lo ha derubato del suo profumo, del suo colore.
O stella beata che rivelò
il segreto del giorno e della notte:
ai miei occhi, il Suo volto,
alla mia anima, il Suo amore!
"Nessun mortale ti ha potuto vedere" di Hafiz
Nessun mortale ti ha potuto vedere,
mille innamorati, però, hanno desiderio di te;
non v'è usignolo che non sappia
che nel bocciolo dorme la rosa.
La è l'amore, dove lo splendore
viene dal tuo viso: sui muri del monastero,
e sul suolo della taverna:
la stessa fiamma inestinguibile.
Là, dove l'inturbantato asceta,
notte e giorno, celebra Allah,
dove le campane della chiesa chiamano alla preghiera,
dove si trova la croce del Cristo.
Un estratto da 'Iraqi
[...] Sai tu le parole che l'amore mi mormora all'orecchio? "Io sono l'amore: in questo mondo intero non ho affatto dimora.
Io sono l''anqa [fenice] dell'Occidente: invisibile io vago. Ho preso il cielo e la terra, con l'occhio e con la fronte: ma non possiedo né arco né freccia, e allora non domandarmi come.
Come il sole io sono rivelato in ogni atomo,
e però nella trascendenza della luce abito ignoto.[...]"
Dal Corano, la Sura della Luce, che è la sura più mistica dell'intero libro
Allah è la luce dei cieli e della terra!
La sua luce è paragonabile a una nicchia
in cui si trova una lampada.
La lampada è in un cristallo:
il cristallo è simile ad una stella scintillante.
[...]
Da "I Sensi Spirituali" di Shaykh 'Ali al-Khawas
(...) "Non bisogna biasimare per partito preso la gente che cerca l'estasi nella musica e nella poesia. (...) Gli iniziati arrivano a cogliere quello che dicono il vento che soffia, gli alberi che si piegano, l'acqua che scorre, le mosche che ronzano, le porte che cigolano, il canto degli uccelli, il pizzicar di corde, il fischio del flauto, il sospiro dei malati, il gemito dell'afflitto, e tutto quanto attira la loro attenzione"
"Il mondo è uno specchio" di Mahmud Shabestari
Sappi che il mondo tutt'intero è uno specchio,
e in ogni atomo si trovano cento soli fiammeggianti.
Se tu fendi il cuore di una sola goccia d'acqua,
ne scaturiscono cento puri oceani.
[...] E ciascun punto, nel suo ruotare in cerchio,
è ora un cerchio, ora una circonferenza che gira.
"L'armonia cosmica" di Mahmud Shabestari
[...] "Leva gli occhi e guarda come la volta del più alto cielo attorno ai mondi si distende"
Il Simbolismo Mistico della Kaaba e le Sure più belle
La Kaaba ("cubo") è un edificio al centro del sacro recinto della Mecca in cui è riposta la "Pietra Nera" venerata nel rituale del "grande pellegrinaggio" che Maometto dichiarò essere il primo tempio innalzato da Abramo e Ismaele al Dio del monoteismo.
"Il pellegrino scopre la moschea, vasto quadrilatero circondato da ogni parte da un colonnato di archi a semicerchio; al centro, un cubo di dodici metri d'altezza, ricoperto di stoffa nera, sulla cui parte superiore sono ricamati in lettere d'oro alcuni versetti coranici; scopre la Kaaba, "isola di pace al centro della moschea, l'architettura più assolutamente densa di pace. Sembrerebbe quasi che il primo costruttore della Kaaba - la struttura più volte rifondata non è mai stata alterata nella forma - avesse voluto edificare un simbolo dell'umiltà dell'uomo al cospetto del Dio.
Sapeva, questo costruttore, che non esiste bellezza architettonica, o armonia lineare, per quanto eminentemente perfetta, capace di rendere giustizia all'idea del Dio, per cui si limitò alla più semplice tra le forme tridimensionali, a un cubo di pietra".
Il pellegrino si rende quindi conto dell'ideale religioso che permea questa purezza di forme: "Quale che sia la bellezza foggiata dalle mani dell'uomo, sarà comunque presunzione ritenerla degna del Dio, ecco perché la cosa più semplice alla quale l'uomo può dare forma è allo stesso tempo la più alta per esprimere la gloria del Dio" (M.Asad)
La Kaaba non ha che una porta ricoperta d'argento, a nord-est, a circa due metri dal pavimento. Viene aperta solo in occasioni eccezionali. L'interno è vuoto, a eccezione dei tappeti e delle lampade che pendono dal soffitto. Non suggerisce significati particolari: è l'edificio intero a costituire la qibla, la direzione per la preghiera.
La Pietra Nera, incassata in un angolo della Kaaba, è al pari di quest'ultima un oggetto di venerazione ma non di adorazione (Nota di Lunaria: ci sono alcuni islamici che sono consapevoli che la Pietra Nera ha origini pagane: in particolare, era la Dea Cibele ad essere associata a meteoriti e pietre nere) è venerata in quanto ultimo retaggio dell'edificio originale abramico.
"E poiché le labbra di Maometto l'hanno toccata nel suo pellegrinaggio di addio, tutti i pellegrini, da quel giorno, ugualmente la baciano. Il profeta sapeva che tutte le future generazioni di credenti ne avrebbero imitato l'esempio.
E baciando la pietra, era consapevole che le labbra dei futuri pellegrini avrebbero per sempre ritrovato il ricordo delle sue, in quel bacio simbolico che aveva quindi offerto, oltre il tempo e la morte, alla comunità tutta. E i pellegrini, baciando la pietra nera, sentono di baciare il profeta, e tutti i musulmani che sono qui convenuti prima di loro, e quelli che verranno dopo di loro" (M.Asad)
La Kaaba è completamente ricoperta dalla kiswa, il panno nero che viene rinnovata ogni anno al tempo del pellegrinaggio. "Nel mezzo del detto tempio vi è un discoperto, in mezzo di quello una torre la cui grandezza è di 5 over 6 passi per ogni verso, la qual torre tiene un panno di seta intorno di altezza di quattro brazza ed evvi una porta tutta d'argento di altezza d'un uomo, per la qual s'entra in detta torre... Tutto il popolo comincia, la mattina innanzi giorno, andar sette volte intorno... toccando e baciando ogni cantone" (Varthema)
Sotto il profilo architettonico, il cubo nero della Kaaba, chiuso dentro un cerchio bianco, simboleggia la condizione umana nel cerchio del Cosmo.
La Kaaba è un asse, un punto d'incontro tra il Cielo e la Terra. L'essere nel quadrato aspira al cerchio, come la condizione umana aspira al cielo. Se lo spazio è abolito poiché si è pervenuti al centro, parimenti il tempo è trasceso, poiché il centro è immutabile.
Tutto quanto che abbiamo tentato di dire può tradursi in un'immagine: quella della ruota, spesso utilizzata dai pensatori mistici musulmani.
Il mozzo, fuoco della ruota, riunisce i raggi, i diversi sentieri tracciati dai profeti per giungere alla verità.
Così dice il mistico Gialal ad din Rumi: "Se esistono certamente diverse vie di ricerca, la ricerca è sempre unica. Non vedi che le strade che portano alla Mecca sono diverse, poiché una viene da Bisanzio, l'altra dalla Siria, e altre ancora che passano per la terra o per il mare? Ne consegue che la distanza di queste strada è ogni volta diversa; ma quando esse raggiungono la metà, le controversie, le discussioni e le divergenze dei punti di vista scompaiono, poiché i cuori si uniscono... questo slancio del cuore non è la fede o l'infedeltà, ma l'amore."
L'antichità della Kaaba è attestata da numerose testimonianze: al Masudi riferisce che a dire dei Sabei, la Kaaba era uno dei sette templi posti sotto l'invocazione dei Sette Pianeti. In epoca pagana, sembra che nella Kaaba trovassero posto ben 360 statuette di divinità!
Le tre Dee più famose (menzionate persino nel corano!) erano Al Uzza, Allat e Manat, affini alle antiche divinità femminili e alla Magna Mater.
Una volta che l'islam prese il potere fece di tutto per cancellare le tracce dell'antico paganesimo: le divinità erano rappresentate da pietre, alberi, meteoriti e da rocce che venivano celebrate con dei riti di circumabulazione intorno ad esse; diffusa - e rimasta pure in epoca islamica - la credenza nei folletti e spiritelli, i famosi jinn.
Nota: il termine "Allah" è derivato da una contrazione dell'articolo determinativo "al" ("il") e "ilah", "Dio": Al-Lah, "Il Dio", "Il solo Dio" ("Ho Theos Monos", in greco). Il femminile è "Allāt", اللات , "Al-Lāt", La Dea.
Il termine "Ilah" è presente in altre lingue semitiche: la forma aramaica è "Alah" (stato enfatico: Alaha), 'Elāhā in aramaico, 'Alâhâ in siriaco; infine, in ebraico biblico si è usata anche la forma plurale "Elohim", e la forma singolare Eloah.
Aggiungo qualche sura per dare un'idea di come sia il corano:
Sura LIX
Dio, Egli è Dio!
Non vi è altro Dio se non Lui!
Egli è Il Sovrano e Il Santo
Egli è La Pace, Il Fedele
Egli è Il Vigilante e L'OnniPotente
Egli è Il Fortissimo e Il Padrone di Ogni Grandezza.
Si canti a Lui l'Osanna!
Dio! Egli è Il Creatore, Il Plasmatore, Il Formatore di ogni essere.
Gli Appartengono Per Diritto I Più Bei Nomi. Tutto il creato, in cielo e in terra, canta Osanna: Egli è Il Potente, Il Saggio.
Sura Al-Baqarah, versetto 115
Ad Allah appartengono l'Oriente e l'Occidente, quindi, ovunque vi volgiate, ivi è il volto di Allah. In verità, Allah è immenso e sapiente.
Sura XCI Ash-Shams
Per il Sole e il suo fulgore,
per la Luna quando lo segue,
per il Giorno quando rischiara la terra,
per la Notte quando la copre,
per il Cielo e Ciò che lo ha edificato,
per la Terra e Ciò che l'ha distesa,
per l'Anima e Ciò che l'ha formata armoniosamente.
Sura LXXXVII Al-A'lâ
Glorifica il Nome del tuo Signore, l'Altissimo,
Colui che ha creato e dato forma armoniosa,
Colui che ha decretato e guidato.
اللَّهُ لَا إِلَهَ إِلَّا هُوَ الْحَيُّ الْقَيُّومُ لَا تَأْخُذُهُ سِنَةٌ وَلَا نَوْمٌ لَهُ مَا فِي السَّمَاوَاتِ وَمَا فِي الْأَرْضِ مَنْ ذَا الَّذِي يَشْفَعُ عِنْدَهُ إِلَّا بِإِذْنِهِ يَعْلَمُ مَا بَيْنَ أَيْدِيهِمْ وَمَا خَلْفَهُمْ وَلَا يُحِيطُونَ بِشَيْءٍ مِنْ عِلْمِهِ إِلَّا بِمَا شَاءَ وَسِعَ كُرْسِيُّهُ السَّمَاوَاتِ وَالْأَرْضَ وَلَا يَئُودُهُ حِفْظُهُمَا وَهُوَ الْعَلِيُّ الْعَظِيمُ
Allah! Non c’è altro dio che Lui, il Vivente, l’Assouto (al-Qayyum). Non lo prendon mai sopore né sonno. A Lui appartiene tutto quello che è nei cieli e sulla terra. Chi può intercedere presso di Lui senza il Suo permesso? Egli conosce quello che è davanti a loro e quello che è dietro di loro e, della Sua scienza, essi apprendono solo ciò che Egli vuole. Il Suo Trono (Kursî) è più vasto dei cieli e della terra, e custodirli non Gli costa sforzo alcuno. Egli è l’Altissimo, l’Immenso (Sura Al-Baqara, La Giovenca, 255)
إِنَّ رَبَّكُمُ اللَّهُ الَّذِي خَلَقَ السَّمَاوَاتِ وَالْأَرْضَ فِي سِتَّةِ أَيَّامٍ ثُمَّ اسْتَوَى عَلَى الْعَرْشِ يُغْشِي اللَّيْلَ النَّهَارَ يَطْلُبُهُ حَثِيثًا وَالشَّمْسَ وَالْقَمَرَ وَالنُّجُومَ مُسَخَّرَاتٍ بِأَمْرِهِ أَلَا لَهُ الْخَلْقُ وَالْأَمْرُ تَبَارَكَ اللَّهُ رَبُّ الْعَالَمِينَ
Allah è il vostro Signore, Colui che in sei giorni ha creato i cieli e la terra e poi Si è innalzato sul Trono. Ha coperto il giorno con la notte ed essi si susseguono instancabilmente. Il Sole e la Luna e le Stelle sono sottomesse ai Suoi comandi. Non è a Lui che appartengono la creazione e l’ordine? La lode (appartiene) ad Allah, Signore dei mondi! (Sura Al-A’râf, 54)
لا إله إلا الله العظيم الحليم
لا إله إلا الله ربّ العرش العظيم
لا إله إلا الله ربّ السماوات وربّ الأرض ربّ العرش الكريم
Non vi è altra divinità al di fuori di Allah, il Sublime, il Magnanimo. Non vi è altra divinità al di fuori di Allah, il Signore del Trono Sublime. Non vi è altra divinità al di fuori di Allah, il Signore dei Cieli, il Signore della Terra, il Signore del Nobile Trono.
رَفِيعُ الدَّرَجَاتِ ذُو الْعَرْشِ يُلْقِي الرُّوحَ مِنْ أَمْرِهِ عَلَىٰ مَن يَشَاءُ مِنْ عِبَادِهِ
Egli è Colui Che eleva ai livelli più alti, il Padrone del Trono. Invia il Suo Spirito (rûh) emanante dal Suo ordine su chi vuole tra i Suoi servi
Infine, ecco una delle sure più celebri (e più amata), la Sura della Luce, An-Nur:
Per curiosità, riporto anche la sura Al-Fatiha, l'Aprente, uno dei brani più celebri del corano che viene recitato più e più volte da tutti i musulmani
1. In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso
2. La lode [appartiene] ad Allah, Signore dei mondi (*)
3. il Compassionevole, il Misericordioso,
4. Re del Giorno del Giudizio.
5. Te noi adoriamo e a Te chiediamo aiuto.
6. Guidaci sulla retta via,
7. la via di coloro che hai colmato di grazia
8. non di coloro che [sono incorsi] nella [Tua] ira, né degli sviati.
testo arabo
1.بسم الله الرحمن الرحيم
2.الحمد لله رب العالمين
3.الرحمن الرحيم
4.مالك يوم الدين
5.إياك نعبد و إياك نستعين
6.اهدنا الصرط المستقيم
7.صراط الذين أنعمت عليهم غير المغضوب عليهم و لا الضالين
Come si pronuncia:
1. Bi-smi llāhi al-Rahmāni al-Rahīm
2. Al-hamdu li-llāhi Rabbi l-'ālamīn
3. Al-Rahmāni al-rahīm
4. Maliki yawmi al-dīn
5. Iyya-Ka nabudu wa iyya-Ka nasta'īn
6. Ihdi-nā al-Sirāta al-Mustaqīm
7. Sirāta alladhīna an'amta 'alay-him
ghayra al-maghdūbi 'alay-him wa lāal-dāllīn. Amīn
(*) La Lode va ad Allah, Signore dei Mondi:
الحمد لله رب العالمين
ALCUNI BRANI DI AL-GHAZāLī
Abū Ḥāmid Muḥammad Ibn Muḥammad Aṭ-ṭūsī al-Ghazālī, il cui nome venne latinizzato come Algazel e Algazelus nell'Europa medioevale (persiano:أبو حامد الغزالي; Tus, 1058 – Tus, 19 dicembre 1111), è stato un teologo, filosofo, mistico e giurista persiano, figura chiave nella storia del pensiero islamico. Considerato il più importante filosofo e teologo dell'Islam.
Qui riporto un commento e delle analisi al simbolismo del pellegrinaggio alla Ka'ba
Vi è poi un modo diretto e comportamentale di giungere a Dio: dedicarsi totalmente al Suo Servizio conservando nel cuore la costante menzione del Suo Nome. Nel descrivere il rapporto tra chi cerca (talib) cioè il mistico e il Cercato (matlub), Dio, Al Ghazali traccia un paragone di sapore platonico che par quasi riecheggiare il mito della caverna, che in qualche modo riprende l'immagine più volte usata in altri contesti di Dio come Luce, la cui Irradiazione, il mondo "reale" non è che un'ombra della vera Luce, finendo così a causa della sua opacità con l'occultare la brillantezza della stessa fonte luminosa. Dio, dice Al Ghazali, è la figura reale che si riflette nello specchio (la Creazione) ma non fa parte dello specchio pur rivelandosi in esso. Al Ghazali scrive che "la conoscenza di Dio nella Sua Essenza e dei Suoi Attributi è il fine supremo delle scienze del Corano" e spiega questo assunto commentando le prime frasi del versetto del Trono;
"Allah! Non c'è altro Dio che lui, il Vivente, l'Assoluto. Non lo prendono mai né sopore né sonno. A lui appartiene tutto quello che è nei cieli e sulla terra. Chi può intercedere presso di lui senza il suo permesso? Egli conosce quello che è davanti a loro e quello che è dietro di loro, e della sua scienza, essi apprendono solo ciò che egli vuole. Il suo trono è più vasto dei cieli e della terra, e custodirli non gli costa sforzo alcuno. Egli è l'Altissimo, l'Immenso." (Sura Al-Baqara, la Giovenca, 255)
Il nome stesso di Allah indica l'Essenza, mentre l'espressione "non v'è altro Dio che Lui" specifica l'Unicità (Tawhid) di tale Essenza. Vivo e Autosufficiente indicano che Dio sussiste di per se stesso, mentre le creature sussistono per Suo Mezzo. La frase "non lo prende né sopore né sonno" dimostra la trascendenza di Dio; mentre "A Lui appartiene tutto ciٍ che è nei cieli e tutto ciٍ che è sulla terra" rileva che Dio è, ad un tempo, La Fonte di cui tutte le cose provengono e la Meta Finale cui esse tendono. Questa conoscenza di Dio potremmo definirla "fenomenologica" poiché pur non cogliendo di Dio l'Autentica Sostanza che resta al di là di ogni possibile conoscenza umana, ne intuisce le caratteristiche essenziali attraverso un processo di pura noematicità. Il processo noematico è quello per cui il vissuto intenzionale (Erlebnis in linguaggio husserliano) rimanda a un qualcosa che è il suo senso; questo qualcosa non è reale, ma è il frutto dell'intuizione gnoseologica. Il "vissuto" del mondo conduce dunque l'uomo a intuire che Dio è "il senso" della realtà; perٍ Dio non è "reale", essendo irriducibile agli schemi della conoscenza umana. Nei primissimi paragrafi del "Libro dei Quaranta Principi della Religione" si legge: "Diciamo dunque: sia lode a Dio che si è fatto conoscere ai Suoi servi per mezzo di un Libro rivelato nella lingua del suo Profeta e Inviato. E Dio, nella Sua Essenza, è Unico, senza compagni, di una realtà individuale che non assomiglia a nessun'altra cosa, un samad senza contrari, separato senza che alcuno Gli stia pari. Dio è Sempiterno e nulla esisteva prima di Lui; Eterno in durata poiché non ha inizio; Esistente per sempre, poiché non ha fine; Perpetuo, senza limite, autosufficiente; essere a cui non si puٍ evitare di attribuire tutti gli attributi della Sublimità."
E nella "Rinascita delle Scienze Religiose": "Egli è esistente di per Sé... Egli non somiglia ad alcuna cosa, né cosa alcuna Gli somiglia; Dio Eccelso è conoscente per scienza, vivente per vita, potente per potenza, volente per volontà, parlante con parola, udente con udito, veggente con vista"
E così nel capitolo III delle "Perle del Corano" Al Ghazali scrive "Si intende la conoscenza di Dio Altissimo. Si tratta di quello zolfo rosso che comprende la Conoscenza dell'Essenza, il Vero, Benedetto, Eccelso, dei Suoi Attributi e dei Suoi Atti [...] Sugli Attributi, la Luce è maggiore e più vasto il campo di studio. Perciò abbondano i versetti che rimandano alla Scienza, alla Potenza, alla Vita, al Verbo, alla Saggezza, all'Udito, alla Vista [...] Ciò che esiste veramente sono solo Dio e i Suoi Atti, e tutto ciò che non è Dio è un Suo effetto."
"Molti ne sono i segreti, anche se si possono simboleggiare in due categorie. La prima è che il pellegrinaggio si pone in alternativa al monachesimo (rahbaniyyah) che invece si trova nelle altre religioni. Dio Altissimo ha fatto del pellegrinaggio il monachesimo della comunità di Muhammad, e ha nobilitato la Santa Casa, a lui strettamente collegata, facendone la meta dei suoi servi [...] La seconda categoria di segreti è che il viaggio alla Mecca è simile al viaggio verso l'aldilà, cosicché il mitico novizio (murid) grazie agli atti che compie [nel pellegrinaggio] si rammenti parallelamente dell'altro mondo... il saluto che, al momento della partenza, rivolgi ai familiari assomiglia all'addio che ai tuoi cari rivolgi durante l'agonia; l'allontanamento dalla terra natale richiama l'uscita dal mondo terrestre; il cavalcare il cammello richiama il funerale; l'avvolgersi nell'abito dello stato sacrale somiglia all'avvolgimento nel sudario; il tempo che passa tra l'entrata nel deserto e l'arrivo nel luogo in cui si entra nello stato di purezza rituale assomiglia al tempo che passa tra la morte e la resurrezione; il timore dei briganti che ti possono assalire è come il timore per l'interrogatorio che nella tomba ti faranno gli angeli."
"Passiamo alla seconda tappa (maqâm), in cui si considerano i Suoi Atti, Le Vie della Sua PreDeterminazione, Le meraviglie del Suo Operare e le cose sorprendenti del Suo Comando nella creazione, giacché Esse sono prova della Sua Maestà e Grandezza, della Sua Santità e Sublimità e dimostrano la Perfezione della Sua Scienza e Sapienza e l’attuazione della Sua Volontà e Potenza. Non potendo noi guardare direttamente alle Qualità di Dio, le si consideri a partire dai loro effetti, allo stesso modo che noi possiamo guardare alla terra ogniqualvolta è illuminata dalla luce solare e quindi dedurre quale cosa grande è la luce del Sole rispetto a quella della Luna e degli altri astri, essendo la luce in terra effetto di quella solare: la considerazione degli effetti mostra in certo qual modo Colui che li produce, anche se tale considerazione non sostituisce appieno quella che concernerebbe il Producente Stesso. Tutti gli esseri di questo mondo sono un effetto della Potenza di Dio Eccelso ed Una Luce della Sua Essenza; anzi, non v’ha tenebra più cupa della non-esistenza, né luce più luminosa dell’esistenza, e l’esistenza di tutte le cose è Una Luce dell’Essenza di Lui Eccelso e Santo, poiché la base dell’esistenza delle cose è nell’Essenza di CoLui Che Esiste Per Se Stesso, così come la base della luce dei corpi è nella luce del sole che illumina di per sé: "Allah è Grande; e il mio viso si prosterna a Colui che l'ha creato, modellato col Suo Potere e la Sua Potenza e che vi ha posto la vista e l'udito; Benedetto sia il Creatore Perfetto"
Con la sura LXVII "Potere Regale" inizia una serie di cantici lirici, spirituali, che si potrebbero facilmente comparare agli inni religiosi dell'area semita. Questi capitoli hanno una grandiosità, un senso mistico nascosto, una bellezza non comune. Partendo da vette altissime, scendono con la loro luce fino nei meandri più oscuri della vita, nella concretezza dei fatti quotidiani. Nel loro linguaggio incontriamo dovizia di simboli che descrivono in termini di spiritualità le umili cose di ogni giorno.
Benedetto sia Colui nelle cui Mani sta il Potere Regale: Egli su ogni cosa è Onnipotente!
Benedetto Colui che ha creato e vita e morte per saggiare chi di voi opera meglio: Egli è Potente, Egli è Perdonante.
Benedetto Colui che ha creato i sette cieli, uno sull'altro, perché tu veda che nell'Opera Creatrice dell'Abbondante in Misericordia tutto è armonioso.
Il concetto che regge il capitolo e che ne forma la parte essenziale è quello della Regalità di Dio:
"Benedetto sia Colui nelle cui Mani/sta il Potere Regale"
L'idea tipicamente semita di dare a Dio l'appellativo di Re Assoluto (اﻟﻣﻠك) viene da lontano. C'è un processo ideologico che deve essere sottolineato: il punto di partenza è quello della Divinizzazione del Re Assoluto. In Egitto il Re era considerato l'incarnazione della Divinità, in modo particolare delle Divinità fecondatrici (il Dio che muore e risorge) diventando così apportatore di vita, perciò Salvatore. Sul piano più ordinario degli avvenimenti storici, nessuna azione importante era intrapresa dal re, specie nessuna guerra di conquista, senza un'indicazione e una ispirazione divina. Per la Babilonia si pensi al periodo neosumerico e postsumerico cui risalgono gli inni ai governatori e Re Divinizzati come Sulgi, Ismedagan, Lipitistar. Altri inni sumerici sono diretti ad una Divinità, ma chiusi con una preghiera o un oracolo in favore del Re. In seguito, nel mondo assiro, il carattere divino del Re verrà messo in evidenza, ma ad ogni sommossa di popoli, o all'inizio di ogni campagna militare, i sacerdoti indovini saranno pronti ad assicurare al Re la vittoria a nome della Divinità (Assur, Marduk)
Per la Mesopotamia il carattere divino del Re non è molto documentato: esso vi è presente solo in qualche linea, in qualche periodo e in qualche ambiente. Invece si deve al pensiero di Israele un capovolgimento radicale del concetto. Questo capovolgimento si manterrà fedelmente sia nel Cristianesimo sia nell'Islam.
Israele esalta la figura del Re, talvolta in modo sproporzionato, ma non gli attribuisce carattere divino. Non si tratta più, in questo transfert psicologico-religioso, di divinizzare la figura del Re, ma al contrario, la Divinità viene umanizzata: alla stessa si attribuiscono, con processo di analogia, le caratteristiche proprie del Sovrano Assoluto. Il Re, al massimo, si incontra con la Divinità, ma come rappresentante qualificato della nazione.
Il radicale semitico per indicare "regnare, Re" è identico nelle lingue semitiche: in sumero-accadico abbiamo le tre consonanti "mlk" che, vocalizzate, significano di volta in volta "Principe", "Consigliere", "Consiglio", "Ragione". Ritroviamo le tre radicali in ebraico e in arabo. Si tratta di un radicale venerando, pregnante di significati sovrani.
AVICENNA
A metà del XII secolo si è tradotta a Toledo la parte essenziale della sua opera "Logica, Metafisica, Fisica", trattato "Dell'Anima...". Non potendo esporre tutto il sistema del filosofo arabo, ricorderemo la sua posizione su un punto oscuro dell'aristotelismo, in cui si vedrà in quale lunga tradizione di commenti e di speculazioni viene a inserirsi il lavoro dei cristiani occidentali: prenderemo in considerazione solo gli autori conosciuti dal mondo latino, proprio all'inizio del XIII secolo. Pochi luoghi aristotelici appaiono al'esperienza della storia più difficili da chiarire e suscettibili di interpretazioni diverse di quello del "De anima", III,5: per renderci ragione della conoscenza, dice il filosofo, bisogna ammettere "un intelletto atto a diventare tutto e un intelletto capace di produrre tutto" - quest'ultimo, "separato", "impassibile", "immune da mescolanza", "atto per essenza", "immortale ed eterno", agisce sugli intelligibili come la luce sui colori. Ci si poteva chiedere, e qualcuno ancora se lo chiede, se, nel pensiero di Aristotele, questo intelletto non sia Dio, oppure un essere sovrasensibile, inferiore a Dio. Prima del 1200 i commentatori hanno lavorato su questo problema dando luogo a non poche complicazioni e a qualche confusione, a cominciare da Alessandro d'Afrodisia, punto di partenza della speculazione araba sul tema "de intellectu". Da lavori che spesso si attengono a un testo più che alle cose di cui tratta ricaviamo una linea dominante di pensiero. Da Al Kindi in poi, l'intelletto agente di Alessandro diventa un'Intelligenza. Intendiamoci: una sostanza separata dal sensibile, distinta dall'anima, ma inferiore a Dio. Al Farabi la colloca in questa posizione intermedia; al grado più basso di una gerarchia di Intelligenze, ciascuna delle quali muove una delle sfere celesti; distinto dal motore del primo cielo, Dio è al di sopra della serie; del tutto fuori di questione identificare con lui l'intelletto che agisce nelle anime umane. In compenso, l'anima non trae più tutte le sue conoscenze dal sensibile; essa può in certi casi, unirsi all'Intelligenza separata: l'uomo diventa allora profeta. Questi temi si ritrovano in Avicenna, la cui gloria ha fatto dimenticare i predecessori. Anche lui unisce la teoria dell'Intelletto alla costruzione del mondo astronomico e sovrappone all'astrazione un altro modo di conoscere, di carattere sacro. L'avicennismo, in effetti, si presenta come una cosmogonia in cui dall'Essere Necessario emanano tutti gli altri: per se stesse puri possibili, le loro essenze ricevono l'esistenza come un accidente, ma è un'esistenza necessaria, che il Primo essere comunica loro per liberalità naturale. Si puٍ attribuire questa discussione del "problema dell'esistenza" all'interferenza di una "teologia dell' Antico Testamento" con l'emanazione di Proclo (Gilson). Dal Primo, pertanto, procede la prima Intelligenza che genera la seconda Intelligenza, l'anima e il corpo della prima sfera; di grado in grado, si giunge all'Intelligenza della Luna, da cui non procede né anima né corpo di sfera, ma un'ultima Intelligenza, le anime degli uomini e i quattro elementi. Questa Intelligenza agente genera tutte le forme: l'intelligibile nel pensiero come la salute nel corpo. "Frammento di una sfera che non è giunta all'esistenza", l'individuo è, anima e corpo, nella medesima situazione riguardo all'Intelletto agente di ciascuna sfera celeste riguardo all'Intelligenza da cui procede. L'analisi della conoscenza si riferisce a una prospettiva cosmica. Come il medico prepara il corpo a ricevere la salute, l'elaborazione dei dati sensibili prepara il pensiero a ricevere l'intelligibile. Immaginiamo un'anima che si volga senza sforzo verso l'Intelligenza: il suo stato costituirà una forma di profezia. Il Medioevo cristiano conosce l'avicennismo anche attraverso l'esposizione di al Ghazali, teologo nemico dei filosofi. Questi chiama l'Intelletto agente distributore di forme - Dator Formarum - nome che si adatta perfettamente alla sua funzione fisica; (Nota di Lunaria: in arabo, abbiamo ben tre attributi di Allah, nei 99 Nomi, che indicano "un disegnatore o datore di forme": البارئ , Al-Bāriʾ, المصور Al-Muṣawwir e الخالق Al-Khāliq )
il medesimo autore riprende poi con forza il tema della profezia come unione all'Intelligenza separata; in un mondo gerarchico a cui non puٍ mancare nessun grado il profeta è necessario per rappresentare una conoscenza che si libera dai sensi.
Questa dottrina risveglierà echi imprevisti nei lettori cristiani dei pensatori musulmani.
L'influenza di questo aristotelismo in Occidente opera nel regime degli auctores. Ci si trova davanti a nuovi testi: i filosofi di recente traduzione; questi ultimi venuti trovano solidamente affermati prima di loro gli autori che rappresentano la tradizione religiosa; si tenterà di far coabitare gli uni e gli altri nelle stesse menti. Ancora nel secolo XXV il "De anima" di Guglielmo di Vaurouillon cercherà di unire l'analisi dello spirito "secondo i filosofi" con quella "secondo i teologi". Se non si bada troppo al loro significato originario, si puٍò lasciare che formule di origini diverse si ravvicinino per qualche risonanza comune.