Fernando Pessoa


"Faust" di Fernando Pessoa ( l'opera è stata composta tra il 1908 e il 1934). Ne sono rimasta folgorata, per la profondità poetica e filosofica. Riporto qualche stralcio. Alla fine riporterò il commento critico di Antonio Tabucchi.



Atto I

Ah, tutto è simbolo e analogia!
Il vento che passa, la notte che rinfresca
sono tutt'altro che la notte e il vento:
ombre di vita e di pensiero.
Tutto ciò che vediamo è qualcos'altro.
L'ampia marea, la marea ansiosa,
è l'eco di un'altra marea che sta
laddove è reale il mondo che esiste.
Tutto ciò che abbiamo è dimenticanza.
La notte fredda, il passare del vento
sono ombre di mani i cui gesti sono
l'illusione madre di questa illusione.
Tutto trascende tutto
ed è più e meno reale di quello che è.

Faust nel suo laboratorio

FAUST (solo)

Onde di desiderio che vane vi perderete
senza neppure lambire il cuore e l'anima
del vostro sentimento; onde di pianto,
non riesco a piangervi, e in me crescete,
immensa marea mugghiante e sorda,
per frangervi sulla spiaggia del limite
che la vita impone all'Essere; onde nostalgiche
di un certo mare largo Dove la spiaggia sia
un sogno inutile, o di una certa terra
ignota più dell'eterna aura
dell'eterna sofferenza, e dove forme
non immaginate dagli occhi dell'anima
vagano essenze lucide e...
dimentiche di ciò che chiamiamo
sospiri, lacrime, desolazione;
onde in cui non posso vaneggiare
sia dentro me stesso, in sogno, imbarcazione o isola,
sia transitoria speranza, sia
illusione generata dalla delusione;
o onde senza biancori e senza asprezze
ma rotonde come un olio e silenti
nel vostro interminabile e pieno rumore...
Oh, onde dell'anima, gettatevi in un lago
o innalzatevi aspre e bianche
con il sussurro acerbo della schiuma,
levatevi in temporali nel mio essere.
Voi siete un mare senza cielo, senza luce, senza aria,
sentito, non visto, rumoreggiante
soprra il fondo profondo della mia anima!
Lacrime, sento in me il vostro sapore amaro!
Non voglio piangervi! Se vi piangessi
come arrivare (tante siete!) ad esaurirvi?
Se vi esaurissi che cosa troverei poi?
Magari una disperata aridità,
un'ansia vana di non poter riportarvi
un'altra volta a me per piangervi
in vana consolazione, un'altra volta ancora!

Che l'anima non esista: vana idea anch'essa!
Che esista e sia immortale: sogno modesto
nei suoi confini, anche se coerente
con la sua modestia. Che altro? Che esista,
che esista e sia mortale, che muoia in un Tutto
Celeste? Vago, vano. Non ci sarà
oltre alla morte e all'immortalità
qualcosa di più grande? Ah, ci dev'essere
oltre alla vita e alla morte, all'essere, al non essere,
un Innominabile sovra-trascendente
Eterno Incognito e Inconoscibile!
Dio? Nausea. Cielo, Inferno? Nausea, nausea.
Perchè pensare, se dovrà fermarsi qui
il corto volo dell'intendimento?
Più oltre, pensiero! Più oltre!



Il mistero degli occhi e dello sguardo
del soggetto e dell'oggetto, trasparente
sull'orrore che sta oltre a se stesso; il muto
sentimento di ignorare se stessi,
e la tormentata commozione che nasce
dall'avvertire la follia del vuoto;
l'orrore di un'esistenza incompresa
quando da tale orrore si giunge all'anima
rende ogni dolore umano un'illusione.
Quello è il supremo dolore, la vera croce.
Vogliono disprezzare il tuo senso di orgoglio, Cristo!



Allora io vedo -orrore- l'intima anima,
il mistero perenne che attraversa
come un sospiro i cieli e i cuori.   



Ho reso la mia anima esteriore a me stesso.



è abissalmente strano
e trascendentemente nero e profondo
vedere gli esseri, gli enti che si muovono,
che ridono... che parlano, che...
alla luce e al caldo; e in tutti
un mistero che fa diventare tutto scuro
e rende la vita un orrore incompreso.



Una notte di Tutto che è un Nulla
un abisso di Nulla che è un Tutto.



Quante volte, essendo greve la vita, cerco
nel seno materno della notte e dell'errore,
il sollievo di sognare, dormendo; e il sogno
mi sembra una perfetta vita...
Perfetta perchè è falsa, e forse
perchè passa in fretta. E così è la vita.



Condannati senza fine all'eterno errore.
Perchè non dovrebbe essere questa la realtà?
Perchè non dovrebbe essere un eterno fantasma,
l'astratto e innumerevole velato mondo
sempre velato e astratto? E la sua stessa
unità un'imprecisione, un tutto indefenito, anzi, un tutto
dove la verità e l'errore, punti fissi,
non siano altro che un maggiore errore?



Cosa significa che ci sia l'esserci? Perchè ciò che è
è ciò che è? Com'è che il mondo è il mondo?
Ah, l'orrore di pensare, come un'improvviso
non sapere dove sono.



Sogno fatto dell'orrore del pensiero,
informe e orrido, via da me
per sempre il tuo orribile ricordo!



Forse Dio non è reale ma esiste,
forse non è Dio ma esiste; ed è
come noi lo pensiamo, Dio per noi.



LUCIFERO:

Mostrarsi come? Oh, anima mia amara,
piena di fiele - e non avere lacrime!

Tessuto di orrori,
trafitto da dolori
acuti di spavento
è il segreto del mondo.

Non solo oltre il mondo c'è tristezza
e silente orrore il mistero possiede;
seppure umile, seppure modesto,
è qui DOLORE, come oltre è ORRORE.



VOCI:

Canti, siete ombre della mia anima. Tutti
siete illusioni; la mia anima canta in voi
chiedendo quella quiete che non ha.
Fuggire da me non posso.



VOCE LIMPIDA:

Piangerò su di te
lacrime di redenzione.
I miei lunghi capelli
che tanti hanno avvolto
avvolgeranno il tuo volto.

[...]

Nel mio seno di chiardiluna
guadagnerai come un perdono
per tanto dolore. I tuoi occhi
dormiranno, e al risveglio un'altra volta si chiuderanno,
al sonno ritorneranno.



Primo Intermezzo

UNA VOCE:

Dormi, dormi, ti canterò
melodie d'oltre-cielo,
e la solitudine ti amerà
perchè per ora sei solo mio...
Dormi e cancella i tuoi pensieri;
se pensare è un tormento,
nessuno ha sofferto come te.

Ti avvolgerò nel mantello
che il Dolore ha tessuto per te;
la Vita ti causa spavento
e la morte non ti sorride.
Lascia dunque che sia così:
la mia bocca, quando bacia,
chiama il cuore a sé.



L'INNOCENZA PERDUTA:

Avevo un campo pieno di speranza
ma nel delirio della febbre
lo devastai, e allora
lo seminai di amori
e vi nacquero fiori
di delusione.



L'INNOMINABILE:

L'Essere-in-sé non è il nome
del mio essere innominabile;
nel mio mondo-Maelstrom,
il grande instabile mondo
come un sospiro si spegne,
e un silenzio più che infinito
accoglie il morire dell'onda
che in me si va frangendo.



Atto Secondo

Tutto trascende tutto;
intimamente lontano da se stesso
e infinitamente, l'universo,
si illude esistendo.

La Coscienza di esistere, la radice
dell'illimitato, multiforme mistero
che ha il tronco di Essere, foglie di vita,
fiori di sentimento e sofferenza
e frutti di pensiero, marciti subito.

La Coscienza di esistere, tormento
primo e ultimo del razioncinio,
figlio suo che però non la raggiunge.
La Coscienza di esistere mi schiaccia
con tutto il suo mistero e la sua forza,
irreparabilmente circoscritta
di compresa profonda incomprensione.



Due gli orrori
che mi schiacciano, ciascuno dei quali sembra
il più grande dei più grandi orrori:
uno è l'orrore della morte, l'altro è l'orrore
di non poter evitare di incontrare
quell'orrore: il dover morire. Due...
Soltanto due orrori? No. Intorno ad essi
ne pullulano migliaia, complessi, che si
compenetrano,
che scaturiscono gli uni dagli altri,
e in queste tenebre schifose, in quell'inferno
che abita l'anima, il pensiero
e il sentimento, terribilmente
coscienti e acuti barcollano,
sprofondano, impazziscono, gridano, sanguinano,
ma sempre chiari, sempre coscienti,
misurando sempre in ogni particella di quell' orrore
tutto l'orrore e scoprendovi
gli altri e gli altri e gli altri,
e così sempre, così sempre, senza fine,
in una sofferenza non immaginabile
da ogni altra sofferenza delirante
di altri uomini, conduco la mia vita torturata,
questa vita che il dolore mi rende eterna
e l'orrore della morte fuggitiva e minima
in ogni luogo, tutto il mondo, l'orrore.



Una sola cosa mi spaventa
in quest'ora, in ogni ora:
che vedrò la morte faccia a faccia
inevitabilmente.
Ah, come poter dire questo orrore?
Non poter evitarlo! Non poter dimenticarlo!



Atto Terzo

Uguale in maniera diversa
legato al mio passato strano e vago
da un'oscurità e un prolungarsi del dolore.



C'è  fra me e il reale un velo
allo stesso pensiero impenetrabile.
Non mi concepisco ad amare, a lottare,
a vivere con gli altri. C'è in me, intima,
un'impossibilità di esistere
di cui ho abortito vivendo.



Ogni tanto mi affiora alle labbra
una canzone d'amore, e per istinto
piango un'amata morta. Sì,
è l'eterna sposa morta
di un io che non seppe amare.



Quel che vorrei è dormire, dormire,
dormire a lungo, vagamente cosciente nel sonno,
e dormire sempre, senza avere coscienza
del tempo, ma solo del sonno sonnolente
e della vacuità del mio essere;
dormire senza che la morte venga, o sognare, ma dormire, solo dormire, dormire sempre.
Perchè ho ormai disimparato a dormire.
Stanco di pensare, rimango a pensare,
e le notti sono lunghe, lunghe, lunghe,
e il pallido sorgere di un nuovo giorno ancora...
Ancora un nuovo giorno, che porterà ancora
un'altra donna e questa altri giorni, ancora...



....
Se queste cose inanimate che mi circondano,
nelle lunghe ore in cui le guardo,
(non con i sensi, ma subito con l'anima,
direttamente come con lo sguardo),
mi torturano, nell'auge del terrore,
per il mistero che esse non sono e che sono-
ah, quanto più - (orrore nel concepirlo!)
se sentissi le voci intime dell'anima
di un essere amante -mie o indirizzate a me-
se sentissi così vicino, se vedessi così
accanto alla mia anima sempre attenta
una voce del Mistero fatta vita-
ah, quanto più, come se la soluzione
del Mistero mi turbasse
fino a morirne per terrore e meraviglia,
quanto non si raffredderebbe di paura la mia anima
vedendo in uno sguardo brillare l'orrore
dell'esserci coscienza ed esistenze.



Cresce in me un'onda di agonia
e di taciuto orrore che erompe e rimbalza
lungo le fronde di caverne dell'anima mia,
e negli interstizi occulti del mio essere
le echeggia al suo apparire; è un'onda torbida
di una marea silenziosa e scura
che cresce e mi invade e mi annega in me stesso.
Vorrei fuggire e sollevarmi, spiccare
un volo, ed essa si arrampica su di me, silente,
in...naufragio.
Cresce, ed io preso dall'orrore
la vedo sempre più vicina,
alzarsi ogni volta in pieghe lontane
dalle solitudini del mio essere, e ogni volta
più dentro me stesso.

Sei un desio, un'ansia, o un'agonia?
Cosa vuoi da me, che nel salire mi sospingi
verso un orrore ignoto che vela una fine?
A quale scopo ti appartengo? Dove conduci
quest'anima che solo oscuramente sa
di non saperti opporre resistenza? Tu mi metti
in dissidio contro l'essere, e io odio
ciò che vedo innanzi a me, l'Immediato.
Perciò, oh mari, soli, stelle, venti,
oh enigmi statici in una vita
piena di enigmi spassionatamente,
vi do la vita solo per odiarvi,
non vi appartengo. Da oggi in poi
sono il nemico dell'essere, sono l'orrido.
L'eterno crimine di non aver ragione
di esistere e di fissarmi. Dico addio
a tutto quello che si può amare o credere,
a tutto quello che nel mondo vive o dorme.
Cose che un sole esterno, vano...
vi faccio scure con il mio odio.
Che una tenebra immensa mi invada l'anima,
che tutto si fermi, e io sia la notte
che essendo scorda te stessa.



Terzo intermezzo

Se morirò, sulla mia tomba
mettete un'epigrafe che dica
che sono morta giovane
che sono morta amando te.



Quarto Intermezzo

Lacrime, vi piangerò
e piangerò in voi la vita, piano piano;
e piangendo resterò
in un silenzio di anima insano.



UNA VOCE

Quando la notte soave scende
- ombra di mani in perdono -
oh madre della Tristezza, tessi
Il Manto della Solitudine.
Tessilo come una menzogna
che il mio dolente cuore
vuole indossare per capire
la nudità della delusione.

UN'ALTRA VOCE

Riempi il calice della mia anima
con la bevanda della sofferenza,
che trabocchi fredda e calma
sulla mano dell'oblio;
su quel che dà amarezza
alle lacrime. Voglio sapere
se trovo in ciò più amore
e, nel berlo, morirò.



Atto Quinto

Per rassegnarsi alla morte è necessario
non capire tutto il suo orrore,
non misurarlo.



Ma ah! Se la morte, senz'essere niente o notte,
non spiegasse niente, e eternamente,
vagabondi coscienti dell'eterno errore,
le nostre presenze pavide girassero
nell'eterna circonferenza del mistero,
esuli dall'astratto centro!



Vi allontanate da me, pensati orrori
di me stesso, e un grato sonno pesa
ormai su ciò che mi sento. Come quando
la fatica, sulla soglia del sonno,
diventa un piacere vago e un principio
del sonno dove perderla, così a poco
a poco un sussurrante cessare del pensiero
mi inebria di ombre, e di me mi fa
dimenticare, e lentamente mi rende notte.



Monologo alla Notte

Che io abbia la dimensione e la forma informe
dell'ombra, e nel mio essere senza forma
io mi disperda e mi consumi!
Prendimi, o notte enorme, e rendimi parte
del tuo freddo e della tua solitudine,
consustanziami ai tuoi gesti
fermi di silenzio e di incertezza,
sposami col tuo senso di...
e annullamento.... che io diventi parte
delle radici notturne e dei rami
che si agitano alla luna...



Finale

MORTE:

Colui che nel pensare ha sofferto,
nella pazzia è stato felice.
Ah, vieni con me, ché sei mio.
Ti porterò nel reame
del quale nessuno dice nulla
e che nessuno ha mai immaginato.





IL COMMENTO CRITICO DI ANTONIO TABUCCHI:

Una voce monologante, tragica e disperata, trascina il suo lamento lungo tutto questo frammentario poema drammatico. è la voce di un poeta, povero Faust solitario partito all'esplorazione della sua coscienza e giunto alla visione del vuoto e dell'abisso. Ma è anche una delle "voci" che abitarono Pessoa, uno dei suoi fantasmi, in questo caso con un'anagrafe e una biografia solo culturali, che parla dentro il poeta come un'ossessione e una maledizione. Denominato da Pessoa "Tragedia Soggettiva", questo Faust astratto e metafisico ha ormai lasciato l'ideale faustiano della Conoscenza e del Progresso per cantare l'inanità della vita, l'impossibilità di conoscere, il terrore della morte. Se accettiamo il suggerimento di Roman Jakobson di leggere Pessoa nel contesto dei grandi artisti mondiali nati sul limitare del Novecento, in compagnia di Stravinsky e di Joyce, non possiamo negare che questo Faust soggettivo somigli a un "notturno" suonato su una partitura di Stravinsky, ad una voce disperatamente balbettante recitata su un monologo interiore joyciano. In più ci sono la teosofia e l'esoterismo, coltivati da Pessoa per tutta la vita, che venano di mistero il poema; e con questa cifra potrebbero essere lette le altre voci che fanno da controcanto al lamento di Faust: voci che appartengono a lemuri, ectoplasmi, spettri chiamati a declamare, sul palco della poesia, il doloroso vagabondaggio di un'anima.



Qualche verso di Poesia...

Piove? Nessuna pioggia cade...
Allora dov'è che sento un giorno
in cui il rumore della pioggia attrae
la mia inutile agonia?

... Ah, piove sempre nell'anima mia.
C'è sempre oscurità dentro di me.
Dentro di me, se ascolto, qualcuno ode
la pioggia, come la voce di una fine....




Erra voce di stagni antelunari...
Gorgogliano acque nell'immensa villa,
nel buio vago inerti al mio soffrire.

Delle ore diseguali è il mio dominio,
un gesto affranto ho dato alle alghe livide
oltre le nostre essenze dell'autunno...



D'ombra e di luce occasionale, e gridi
vaghi da lungi, e sintomi caduchi
di sconosciuto rimpianto, splendori
del divino, quest'esser fosco ed esule...

Cadde pioggia in passati di ch'io fui.
Vi furon campi d'imminente cielo
e neve su alcunché d'anima e mio.

All'ombra mi narrai, ma non ascoltato.
Oggi so il deserto ove Dio tenne
un tempo la dimora dell'oblio.




Ah! L'angoscia, la rabbia vile, la disperazione
di non poter confessare
in un tono di grido, in un ultimo grido austero
il mio cuore che sanguina.

Ah! Furia del dolore che non ha sorte nel gridare.
Del grido che non ha
potere più del silenzio, che torna, dall'aria
nella notte senza essere!




"Tele d'Orrore"

Tele d'orrore nella falsa brezza
il ragno dell'abisso tesse...
La luna non rischiara, e le foglie
vibrano del mio panico.

Ma si leva dal fondo dell'abisso
il panico e la maschera del dì...
la sfinge al fondo della fantasia.

Per la foresta indefinita
fluttua un silenzio, sempre.

Geni o elfi orridi fanno
paura tra l'aria e l'albereto?
Come pietra il chiardiluna giace,
giace dal fondo del mio panico.
Che mattino, o clarino, o riso
desterà il bosco muto?
Il mio panico fa tutto impreciso,
il mio sogno fa il mio panico tutto.




"Che triste, di notte"

Che triste, di notte, il vento che spira,
il travasarsi dell'immensa solitudine
nel profondo del nostro cuore,
di sopra ogni nostro pensiero.
Nella quiete senza pace si leva il lamento
come di un universale sconforto,
e il mistero, e l'abisso e la morte sono sentinelle
del nostro isolamento.
Siamo soli con tenebre e voci dal nulla.
Tutto quanto perdiamo
ancora perdiamo.
Da noi quelli che furono non v'è strada.
Il vuoto è carne in noi, nella vita; e i cieli
sono un dubbio certo che viviamo.
Tutto è abisso e notte. Dio è morto.




"Amiel"

Inutili giorni che lenti consumo
nello sforzo di pensare all'azione.





"Penso a te nel silenzio"

Penso a te nel silenzio della notte
quando tutto è nulla,
e i rumori presenti
nel silenzio sono il silenzio stesso,
allora solitario di me, passeggero fermo 
di un viaggio senza Dio, inutilmente penso a te.
Tutto il passato in cui fosti un momento eterno
è come questo silenzio di tutto.
Tutto il perduto, in cui fosti quel che più persi.
è come questi rumori,
tutto l'inutile, in cui fosti quel che non doveva essere,
è come il nulla che sarà
in questo silenzio notturno.
Ho visto morire o sentito che morirono,
quanto amai o conobbi,
ho visto non saper più nulla di quelli che un po' andarono
con me, e poco importa se fu un'ora
o qualche parola;
o un passeggio emotivo e muto,
e il mondo oggi per me è un cimitero di notte,
bianco e nero di tombe e alberi e di chiardiluna,
ed è in questo quiete assurda di me e di tutto
che penso a te.




"Eterno condannato, vagherò sempre, sempre maledetto, perchè questo mondo... solo se fossi più che Dio potrei trascendere l'infinito dell'infinito e nascere per il giorno senza numero."




Neanche dipingendo questo vetro
di ombre colorate nascondo a me stesso
il rumore della vita altrui
mentre la guardo dal lato opposto.



"Corpi"

Il mio corpo è l'abisso fra me e me.



"Paludi"

Il mistero ha il sapore del mio essere altro...
chiardiluna sul non contenersi.




"L'isola deserta"

La mia finestra si apre sulla nebbia
e la nebbia è tutto, e l'universo in mezzo
se mi cerco, nei miei occhi leggo
l'ora virtuale, e in me la elevo.
La mia tristezza, la devo al ritmo essenziale
della mia ansia.




"Visitammo deserti"

La nostra memoria antica venne con noi
fra le vestigia e le sepolte rovine
com il senso tragico delle ombre
scritta sulla loro bocca dipinta.



"Il mio tedio"

Il mio tedio non dorme,
stanco esiste in me
come un dolore informe
che non ha causa o fine...



"Le 7 Sale"

Tra cipressi, in un chiardiluna senza luce,
per una strada che là conduce.
Il freddo suono dei propri passi, che ha
il suono di passi altrui che vanno oltre ai passi
e a un altro che li fa
e tra croci e lapidi e nei geli
dei poli della concisa sensazione
e non ebbero di lei compassione...
ed ella morì fra il pianto delle dame
e somigliando alle spiagge
nelle onde del suo vago sguardo verde...
silenzio... la vita è un senso che si perde...

Sala dopo sala, tutte le sale percorro,
gridando di orrore.
E dietro a uno spettro che non vedo
né sento, corro
e nel mio terrore
nel centro stesso del mio terrore
c'è una croce amata
e che cadavere?  La terra e il cielo
nel loro sguardo muto...
E la scena tutta! Il potere occulto!
L'ostia in terra
l'altare piramide adesso e a fianco.



"Via Crucis"

Erra al crepuscolo la voce delle fonti...
nel giardino immenso gorgogliano acque
nel buio incerto al mio dolore indifferenti...




"Episodi"

Sensazione d'essere solo la mia spina.




"Improvvisa mano"

Improvvisa mano di un occulto fantasma
tra le pieghe della notte e del mio sonno
mi scuote e io mi desto, e nell'abbandono
della notte non distinguo gesto o volto.
Ma un terrore antico, che insepolto
reco nel cuore, come d'un trono
scende e si dichiara del mio Signore e Padrone
senza ordini, senza cenni e senza insulti.
E io sento la vita mio d'improvviso
tenuta con una corda di incosciente
da qualche mano notturna che mi guida.
Sento che non sono nessuno se non l'ombra
di un volto che non vedo e che mi spaventa
e in niente esisto come la fredda tenebra.

Trema in luce l'acqua. Mal vedo. Mi sembra che
una aliena pena nella mia anima scende.

Ebbi un fiore da dare
a chi non osai dire
che le volevo parlare
e il fiore dovette morire.

Lo splendore del senso inesistente della vita

[...]

Voglio andare alla morte
come a festa al crepuscolo.



"Pioggia obliqua"

Piove? Nessuna pioggia cade...
Allora dov'è che sento un giorno
in cui il rumore della pioggia attrae
la mia inutile agonia?



"Stazione della Via Crucis"

Erra voce di stagni antelunari...
gorgogliano acqua nell'immensa villa,
nel buio vago
inerti al mio soffrire...
Delle ore diseguali è il mio dominio,
un gesto affranto ho dato alle alghe livide
oltre le nostre essenze dell'autunno...
Cadde pioggia in passati dì ch'io fui.
Vi furon campi d'imminente cielo
e neve su alcunché d'anima e mio.




"Abdicazione"

Il nuovo giorno recami lo stesso giorno della fine
del mondo e del dolore:
un giorno eguale agli altri, della eterna
famiglia dei giorni così.
Ah! L'angoscia, la rabbia vile, la disperazione
di non poter confessare in un tono di grido,
in un ultimo grido austero,
il mio cuore che sanguina.

Essere stanca, sentire duole, pensare distrugge.
Aliena a noi, in noi e fuori,
precipita l'ora, e tutto nell'ora precipita
inutilmente, l'anima piange.



"Gomes leal"

Consacra, sinistro, alcuni l'astro opaco
i suoi tre anelli irreversibili sono
disgrazia, tristezza, solitudine.
Otto lune fatali s'affissano nello spazio.

Galleggiano lievi, distratti, i miei dolorosi
pensieri... come foglie morte galleggiano
sul pelo dell'acque stagne.

Dove, in giardini esausti,
nulla ha più fine
forma i tuoi futili fasti
di tedio e di seta.
I miei occhi sono esausti, con me dormi e in me.

Non devo sognare che possano darmi un giorno,
vero o falso, le rose vane tra cui in sogni morti
mi venni a trovare nell'alba di incogniti mattini.


Nella villa tra i cipressi
sono seccate tutte le fonti,
le rose bianche agresti
recate dagli ultimi monti
me le toglieste voi, che le donaste...
Nel fiume ai piedi dei salici
passarono le acque invano.
Con tristezze di stranieri
passarono tra i salici
le onde, senza averne motivo.



"Itinerario"

Che importa che la verità della nostra anima
sia anche menzogna, e nulla sia la sensazione,
e questa certezza calma
che nulla v'è in noi o fuori, regga,
inutilmente la nostra inconsistenza?



"Tempesta"

Ah, se come trasporti foglie e sabbie,
l'anima mia potessi portar via
da qualunque parte,
lontano dall'idea che io debba pensare!
....
Orrore che sia sempre con la vita la coscienza!
Orrore di sentire l'anima sempre a pensare.



"Lontano da me"

Lontano da me
in me esisto
separato da chi sono
l'ombra e il momento in cui consisto.




"Poema incompleto"

Una nausea, non di me per il mio dolore,
ma quasi del mio dolore per me,
giace nel fondo vile del mio rancore
contro il dolore senza ragione che non ha fine.



"Rivivi ancora"

Rivivi ancora un momento nella speranza che persi,
fiore del mio pensiero
alito di cui morii...
Inutile irreale sorriso, nella penombra del pensare...
della vita, di che ho bisogno?
Del sogno con cui negarla.
Vago chiardiluna di promessa
resto d'ombra che muore
nell'alba che va iniziando
ah, averti, e mai vivere. 




"Nausea"

Nausea. Voglia di niente.
Esistere per non morire.
Come le case hanno facciata,
ho questo modo d'essere.

Nausea. Voglia di niente.
Siedo sul ciglio della strada.
Stanco già del cammino.
Mi fermo nel posto vicino.

Mi nausea. Niente mi pesa.
Se non la volontà presa
a ciò che più non penso.
Come chi resta a guardare.