Rainer Maria Rilke


Rainer Maria Rilke (1875-1926)


"Solitudine"

La solitudine è come la pioggia.
Si alza dal mare verso sera;
dalle pianure lontane, distanti,
sale verso il cielo a cui da sempre appartiene.
E proprio dal cielo ricade sulla città.

Piove quaggiù nelle ore crepuscolari,
allorché tutti i vicoli si volgono verso il mattino
e i corpi, che nulla hanno trovato,
delusi e affranti si lasciano l'un l'altro;
e persone che si odiano a vicenda
sono costrette a dormire insieme in un letto unico:

è allora che la solitudine scorre insieme ai fiumi.



"La notte e l'anima"

In grembo alla notte nevosa, d'argento,
immensa si stende dormendo, ogni cosa.

Solo una eterna sofferenza è desta
dentro l'anima mia.

E mi domandi perché mai si tace
l'anima mia, senza versarsi in grembo
alla notte che sogna?

Colma di me, traboccherebbe tutta
a spegnere le stelle.



"La sera"

Vien da lungi la Sera, camminando
per la pineta tacita, di neve.
Poi, contro tutte le finestre preme
le sue gelide guance; e, zitta, origlia.
Si fa silenzio, allora, in ogni casa.
Siedono i vecchi, meditando. I bimbi
non si attentano ancora ai loro giochi.
Cade di mano alle fantesche il fuso.

La Sera ascolta, trepida, pei vetri;
tutti - all'interno - ascoltano la Sera.



Da "I Sonetti a Orfeo"

1.8

Solo nell'inno la lamentazione
può muoversi, di lacrimata fonte
ninfa che veglia sul nostro mancare
e lo risplende sulla roccia stessa.

Che pur sostiene i portali e gli altari.
Vedi: un presagio alle sue spalle tacite
albeggia: è lei forse la più giovane
fra le sorelle che l'animo alleva.

La gioia sa; nostalgia non si vela
ma la lamentazione impara, conta
con dita adolescenti i vecchi mali
nel buio. E a un tratto -sghemba, incerta- leva
fra gli astri una figura della nostra
voce, che quel sospiro non annebbia.



1.9

Solo chi già fra le ombre
alzò la lira
può presentando elevare
la lode infinita.

Sol chi gustò del papavero
coi morti, il loro,
mai smarrirà i più inafferrabili
suoni.

Se nello stagno il riflesso
ti si scompone
sappi l'immagine.

Nel doppio regno, non altro,
si fanno assorte le voci,
immortali.