Poesia Greca del '900

Qualche poesia greca del '900

PALAMàS

Ma qual'è questo camposanto
che rinverdisce sempre e manda luce
e non si lascia ardere da nessun solleone
nè devastare da alcun torrente?
Ma qual'è questo camposanto
e chi sono questi inginocchiati Secoli in preghiera,
e qual'è questo camposanto
che ha per morti degli Apolli e per sepolcri Partenoni?

O tre volte nobili rilievi dei sepolcri,
anima antica arsa dalla morte,
incisa sulla ateniese lapide
col cesello dell'aere sacro,
fatemi voi avvolgere il Dolore
nella tunica pudica dell'Armonia
e rinchiudere la sua lacrima
nel vaso d'oro della misura.


PORFIRAS

"Le chiese abbandonate"

Vi sono nelle chiese che diroccano
tristi Madonne, pallide immagini,
che solo amano i fiori selvatici,
gigli, ciclamini, anemoni, ginestre.
Come incensieri rustici ed effimeri,
sparsi o legati in semplice ghirlanda,
l'anima loro di fiori effondono
bruciando la vita in impalpabile incenso.
Ahi,chi là si reca con fiori selvatici,
s'apre, appena sfiorata, la porta,
ornata tutt'intorno da nidi,
trapunta da erbe dell'oblio.
S'apre la porta com'è solito
aprirla soltanto il vento,
come fosse la Madonna ad aprirla
con impazienza di dolce madre,
vecchia colpita dai lutti, dimenticata
nella deserta capanna ad aspettare
il ritorno di gente di là dal mare
eternamente oscuro e in tempesta.


"Il paese offuscato"

Molte volte nell'ora arcana della sera,
quando giro con l'anima grave dei pensieri,
spesso emerge nella solitudine un incorporeo paese,
un paese silenzioso sempre e sempre offuscato.
Le case sue sono chiuse e son vecchie. Rami
sporgono dai poveri cortili in rovina,
sui muri, sulle soglie spuntano erbe
e di verde muffa sono vestiti i tetti.
Così è. Certe case, forse le ho viste nel triste esilio,
altre qui nel borgo, e altre nell'isola mia,
qualcuna sulla strada in riva al mare in anni felici,
e tutte quante, questo paese intero, mi parlano della mia vita.
Ah, mentre m'inoltro nei suoi ingrati vincoli a sera,nessuno più esiste per venirmi incontro.
Sono l'unico  l'ultimo passante io a traversarle.
Ricordi amore: si spegne la scarsa luce e tramonto.
Lentamente del tutto si spegne. E il paese offuscato
insieme ad essa in silenzio sprofonda a me lontano.
Giro curvo. E ahimè, intorno non mi resta
che notte e tenebre e solitudine senza fine.


GRIPARIS

"Sonno" (qualche verso)

In un giglio candido come rugiada
che quando nella nuova luce, che albeggia,
cielo e terra hanno sollievo,
un lieve spirito venga con un bacio
sui petali a dischiudere la sua alba
e stilli la brina dentro il cuore.


"L'Edera" (qualche verso)

Dell'oscura edera priva di grazia la pena io colgo
e quasi mi sembra che nel mio petto ha le radici
e quasi mi sembra d'essere io lo screpolato muro
che l'oscura edera priva di grazia cinge.
....
Accorrono alle fronde dell'edera funerea
a stormi i passeri ad appollaiarsi
e si ristorano nel placido grembo
dell'ebbrezza di vivere e del sole d'oro.
....
Si spande la notte: e mi vengono intorno uno ad uno
e tutti insieme spinti da lontano
ombre di ombre i ricordi, nella solitudine sconsolata
a recarmi, tristi, falso conforto.
....
Dell'oscura edera priva di grazia la pena io colgo
e quasi mi sembra che nel mio petto ha le radici
e quasi mi sembra d'essere io lo screpolato muro
che l'oscura edera priva di grazia cinge.  


"Dopo La Pioggia" (qualche verso)

Stanotte -la tristezza potente della notte mi svegliò come se alla nostra tristezza avesse pensato- stanotte si sono squarciati i sette cieli
acqua precipitando e diluviando il creato.
Nelle tenebre traboccarono le fonti della tristezza
e dilagarono i trattenuti pianti;
speranza più non resta per nuove albe ancora
nella notte che tu dicesti ultima per noi.


PAPANDONIU

"Donna nel parco" (qualche verso)

Le labbra baciate in altri tempi tiene serrate,
e sopra le foglie secche passa opaca, spenta,
per consolarsi all'unguento della rassegnazione
che nel crepuscolo le porgono i rami feriti dalla pioggia.


SIKELIANòS

"La civetta" (qualche verso)

Glauco è il Nérito: la quercia che cupa azzurreggia
non getta ombra sul mare sottostante, immoto;
sul lago stanno assopiti come bianchi fiori anche i
gabbiani.
Ma lo sparviero sta sospeso su due ali e trema
nell'abisso ceruleo, come tremano le sopracciglia,
precise, nel soppesare un vergine pensiero.

"John Keats" (qualche verso)

Le rose fiammanti ch'io sparsi sul tuo sepolcro
e ora Roma ti fa fiorire,
mi indicano i tuoi canti tutti oro, come i corpi
vigorosi e armati visti
in una tomba antica appena aperta e mentre li guardi
intatti
svaniscono per sempre.


MELACHRINòS

"Pretesto di malinconia" (qualche verso)

Dei lauri le foglie son madide
di lieve pioggia da requiem
Un vicino saluto rende loro
il palpito sospeso della goccia.
...
Gli occhi tuoi hanno ombra pesante per il sonno
e piangono nella mia anima. Mi consumo.
Il crepuscolo ha sì prolungato le ombre
da riassorbire il dolore dell'esilio.
Per far venire autunno agli alberi
disperdo l'anima mia per sogni loro.
Ora respira a fatica il ricordo che amareggia,
come un fantasma di vecchi tramonti.


KAVAFIS

"Quanto puoi"

E se non puoi rendere la tua vita come la vuoi,
questo almeno devi tentare quanto puoi: non umiliarla
nei frequenti contatti con la gente, nei frequenti gesti e discorsi.
Non avvilirla portandola
di qua e di là spesso ed esponendola
alla sciocchezza quotidiana
dei commerci e delle relazioni
fino a rendertela importuna come d'un altro.


PANAIOTOPULOS

"Sei versi sentimentali"

Oggi la notte ha tanto la mia tristezza reso lieve
da farmi credere che sto di fronte al tuo arcano letto,
e tutt'intero respirare la rosa del tuo amore che veglia,
e diventare gentile quanto la tua esile vaghezza,
e sull'inesprimibile fiore sublime del tuo corpo
chinarmi per addormentarmi e perire.


PAPAZONIS

"If only"

Oh, se mai venisse il tempo
di isolarci su una lontana spiaggia
e ciò colmasse tutti i paurosi vuoti della vita
e della notte, tutti i conflitti
con l'Ignoto e il Cupo -questo appena
basterebbe a risolvere
tutti i misteri angosciosi.
Se il cospetto appena di un cielo nuvoloso
d'autunno che reca nuova trasparenza
ai ciottoli del mare,
(quel verde chiaro da occhi di Ninfa...)
bastasse a coprire la vita intera
- questo soltanto sarebbe già la felicità.-
Quando per un solo attimo,
uomo sfuggito all'intrico del tumulto,
ti sentirai immateriale ed asserenato,
certo che questo durerà
e che un'ora dopo al tuo lato
non s'insinuerà la Sirena a turbare
la trasparenza dei ciottoli - questo appena
certezza, sarebbe già la felicità.
Ma la sua voce già perviene da Nord, da Sud,
da Oriente e da Ponente. Fa rombare
ogni orizzonte. Arriva da ogni lato
con la sostanza della pioggia o del vento.
Con la schiuma delle onde. L'universo e l'anima dell'uomo
sono imbevuti di questa voce. Venga alfine.
Non è ancora giunto il tempo della Morte.


SEFERIS

Grecità e modernità, pietrose reliquie di una storia da troppo tempo consumata e angosce contemporanee nutrono la poesia di Seferis. Un viaggio senza meta tra tempi e civiltà diversissime, un'avventura che nasce dalle lacerazioni e dai dubbi dell'uomo di oggi si disegnano su quel paesaggio di isole, di promontori, di bracci di mare che videro nascere i miti ellenici e Ulisse navigare sognando la sua Itaca.

"L'aria di una giornata"

[...] Là sulla nave sono morti tutti, ma la nave persegue l'idea
che vagheggiò quando salpò dal porto
come sono cresciute le unghie al capitano... e il nostromo
barbuto con tre amanti ad ogni scalo...
Il mare gonfia lento, si pavoneggiano le vele
e il giorno già si fa più dolce.
Tre delfini nereggiano luccicanti, la Gòrgone sorride,
fa cenni un marinaio, scordato sopra l'albero di gabbia
a cavalcioni

"Rima"

Labbra, scolte di quella passione moritura
mani, catene della mia gioventù menomante
colorito d'un viso perso nella natura
uccelli... cacce... piante...
Corpo, grappolo nero al sole che dardeggia
corpo, dove fai vela, ricca nave?
è l'ora che la sera nel sòffoco boccheggia
e frugare la tenebra m'è grave...
(ogni giorno la vita più scarseggia)

"Canto d'amore"

I

Rosa del fato, il varco cercavi per ferire
ma ti chinavi come segreto che si schiuda
ed era bello l'ordine che volesti impartire
ed era il tuo sorriso come una spada nuda.
Avvivava il tuo nimbo saliente la natura
dalla tua spina il sogno della via si partiva
ed era il nostro anelito d'averti un'alba pura
facile il mondo: un battito schietto di vena viva.

II

I segreti del mare si scordano sul lido
nella schiuma si scorda la tenebra d'abisso.
D'improvviso i coralli della memoria ridono
purpurei. Non turbare... sta con l'orecchio fisso
al lieve abbrivo... hai steso la tua mano per cogliere
pomi, hai sfiorato l'albero: il filo guida, addita...
cupo brivido nella radice e nelle foglie
eri tu a riportare forse l'alba smarrita?
Nel campo del distacco fioritura di gigli
sbocciare di maturi giorni, celeste ammanto
brillio riverberato di quegli occhi fra i cigli
disegnarsi d'un'anima pura come d'un canto...
Ma fu la notte a chiudere gli occhi? Resta una brace
come, vibrato l'arco, un murmure raccolto:
è cenere e vertigine nella cala ove tace
la luce, entro un'ipotesi battito d'ali folto.
Tu ci cogliesti, conscia rosa del vento, ignari
quando il calcolo ergeva ponti, dove, conserte
le dita, trascorressero le nostre sorti pari
effondendosi in una luce sommessa, inerte.

III

Cupo brivido nella radice e nelle foglie!
Da masse di silenzio sorgi, corpo vegliante,
leva il capo dal cavo delle mani, e tue voglie
si compiano, ripetimi il linguaggio sfiorante
che al sangue si fondeva come amplesso; profondi
come l'ombra del noce i tuoi moti d'amore
volgano, e nello scialo dei capelli c'inondino
della dolce lanugine del bacio fino al cuore.
Chinavi gli occhi e avevi quel sorriso di cielo
che istoriavano antichi pittori in umiltà.
Alitava, lettura scordata d'un vangelo,
la tua voce, l'eloquio d'aerea levità:
è la corsa del tempo silenziosa e remota,
e voga tenero nell'anima il dolore;
l'alba affiora nel cielo, resta il sogno e sornuota
quasi trascorrano cespi odorati in fiore.
[...]
L'incrinato crepuscolo s'attenuò, si perse:
era illusione chiedere i favori celesti.
Chinavi gli occhi. Il pruno della luna s'aderse
calarono le ombre dal monte: le temesti.
[...]

IV

Spire della scissione, entro l'arborea notte
due bei serpi remoti strisciano, si ricercano
per un amore ascoso in segrete ridotte,
non bevono, non mangiano, vigili si ricercano.
[...]
Sta, gelato pilastro notturno, il bosco inerte.
Il silenzio è un'argentea coppa: intatti, precisi
gli attimi ripercossi vi cadono; è un solerte
scalpello che disegna docili tratti incisi...
[...]

V

[...]

Rosa rossa del vento, del fato - seduzione
solo nella memoria - come un ritmo profondo
tu sei passata, rosa di notte, fluttuazione
di porpora, di mare. Così semplice è il mondo.
 

"XIX"

E se il vento soffia non ci rinfresca
e l'ombra rimane stretta sotto i cipressi
e tutt'intorno una salita verso i monti;
ci pesano
gli amici che non sanno più come morire.

"Cisterna" (poemetto dedicato all'amico Ghiorgos Apostolidis)

[...] S'apre come un ventaglio in alto il mondo,
si trastulla con l'alito del vento
con un ritmo che spira nella sera,
senza speranza batte l'ala, e pulsa
al fischio dell'angoscia destinata.
Sopra la volta d'impietosa notte
battone cure e gioie trascorrenti
al crepitio veloce della sorte
ardono visi, splendono un istante
e si spengono dentro un buio d'ebano.
[...]
La sete dell'amore chiede lacrime
si chinano le rose come l'anima
s'ode il polso del mondo nelle foglie
il crepuscolo come un pellegrino
s'appressa, poi la notte, poi la tomba.
[...]
E passano le ore, e soli e lune.
Ma s'è ispessita l'acqua come specchio,
Sta l'attesa con grandi occhi sgranati
quando tutte le vele vanno a picco
all'estremo del mare che la nutre.
[...]
E un corpo occulto, un cupo grido emerso
fuori della caverna della morte
come l'acqua vivace dentro il solco
come l'acqua che brilla solitaria
nell'erba e parla alle radici brune...
[...]
Uscire dal dolore della piaga
comprimendo il dolore della piaga,
e comprimendo l'amaro del corpo
dall'amaro del corpo uscire! e sboccino
rose nel sangue della nostra piaga.
[...]
Ti recò il mare e il mare t'ha portato
lontano, ove fioriscono i limoni,
ora, al dolce risveglio delle Parche
- mille e mille figure con tre rughe
fanno la processione del Sepolcro.
[...]
Fuoco del mondo d'intorno, lampare
sopra la primavera che germoglia,
ombre dolenti su corone morte
e passi... passi... la lenta campana
snocciola una catena tenebrosa
[...]
Ma la notte non crede più nell'alba,
vive l'amore a tessere la morte,
a somiglianza di un'anima libera
una cisterna nell'incandescente
città dà la lezione del silenzio.

Da "Leggenda"

I

[...] Ridèsti, andammo verso Nord, forestieri
inabissati in brume da illibate ali di cigni
che ci ferivano.
Ci faceva impazzire le notti d'inverno il gagliardo
vento dell'Est
ci smarrivamo l'estate nell'agonia del giorno che
non sapeva morire.

VI

Il giardino coi suoi zampilli alla pioggia
tu lo vedrai soltanto dalla finestra bassa
di là dai vetri torbidi.
(...) nel lampo di folgori lontane, appariranno
le rughe alla tua fronte, vecchio Amico.
Il giardino coi suoi zampilli ch'erano alla tua mano
ritmo dell'altra vita, oltre gl'infranti
marmi, di là dalle colonne tragiche,
danza fra gli oleandri
presso le nuove cave di pietrame, un vetro
appannato l'avrà reciso dai tuoi giorni.

VII

Ieri sera, tempesta; oggi di nuovo
pesa il cielo infoscato. Ora i pensieri
come gli aghi di pino ieri nella tempesta
sulla porta di casa accolti e vani
innalzano un castello che dirupa.

IX

S'io volli stare solo, solitudine
cercai, non quell'attesa,
frantumazione d'anima all'orizzonte,
queste linee, e colori, e silenzio.
Le stelle della notte mi riportano all'ansia
d'Odisseo per i morti fra gli asfodeli. E quando
approdammo quaggiù fra gli asfodeli
cercammo la vallata
che vide Adone con la sua ferita.

XI

Il tuo sangue gelava come la luna, a volte,
nella notte insondabile il tuo sangue
spiegava l'ali bianche
sopra le rocce brune, le figure degli alberi e le case
con un barlume della nostra infanzia.

XIV

Tre colombi scarlatti nella luce
segnano il nostro fato nella luce
con i colori e i gesti di persone
che amammo.

XV

Il sonno ti ravvolse, come pianta, di foglie
verde, alitavi come pianta al calmo lume,
mirai la tua figura nella sorgente diafana:
palpebre chiuse, i cigli una crespa nell'acqua.
Le mie dita trovarono nell'erba tenera le tue dita,
ti tenni il polso, un attimo: altrove
sentii la pena del tuo cuore.

XIX

Anche se spira il vento non ci dà
frescura e resta breve sotto i cipressi l'ombra;
per ogni dove è un'erta alle montagne.
Peso dei cari
che ormai non sanno più come morire.

XXIII

Ancora un poco
e scorgemmo i mandorli fiorire
brillare i marmi al sole
e fluttuare il mare.
Ancora un poco,
solleviamoci ancora un po' più su.

XXIV

Hanno termine qui le opere del mare e dell'amore.
Quanti un giorno vivranno dove noi terminiamo,
se mai nereggi alla memoria il sangue e trabocchi,
non ci scordino, deboli anime tra gli asfodeli,
volgano verso l'Erebo il capo delle vittime:
e noi che nulla avemmo insegneremmo loro
la pace.

"Euripide, Ateniese"

Invecchiò tra l'incendio di Troia,
e le latomie di Sicilia.
Gli piacevano le grotte sulla spiaggia e i disegni del mare.
Vide le vene degli uomini
come rete degli dèi fatta a catturarci come belve;
tentò di traforarla.
Era rude, i suoi amici erano pochi;
venne giorno che fu sbranato dai cani.

Da "Gimnopedia"

Dammi le mani, dammi le mani, dammi le mani.
Ho visto nella notte
il vertice aguzzo dal monte,
la piana inondata laggiù nella luce
d'una luna segreta,
girando il capo ho visto
l'acervo dei macigni neri
e la mia vita tesa come corda,
inizio e fine
l'attimo supremo;
le mie mani,
[...]
palpeggiando
la porpora inesausta
in quella sera del ritorno
- le Erinni cominciarono a fischiare
nell'erba rada -
ho visto serpi e vipere incrociate
in un viluppo sulla mala stirpem
il nostro fato,
Voci su dal macigno, su dal sonno,
più fonde qua dove il mondo s'abbruna,
memoria di travagli radicata nel ritmo
che percosse la terra con piedi
dimenticati.
Inabissati corpi, alle radici
d'un altro tempo, nudi. Occhi sbarrati,
sbarrati sopra un segno
che per quanto tu voglia non discerni:
l'anima
che combatte per farsi anima tua.
Neppure il silenzio è più tuo
qui dov'è fermo il giro della mole.

Da "Quaderno d'esercizi"

"Epifania" (1937)

Il mare in fiore, i monti nella luna menomante
la grande rupe accanto ai fichi d'India e agli asfodeli
l'orcio che non voleva asciugarsi alla fine del giorno
e quel letto serrato là vicino ai cipressi e i tuoi capelli
d'oro, gli astri del Cigno e Aldebaran.
Ho serbato la mia vita, ho serbato la mia vita viaggiando
tra piante gialle nel rovescio della pioggia
su taciti versanti sovraccarichi delle foglie di faggio,
senza falò sul vertice. Fa sera.
Ho serbato la mia vita: sulla tua mano sinistra una linea,
sul tuo ginocchio un segno: ci saranno
sulla sabbia dell'altra estate, ci saranno
ancora, là dove soffiò la tramontana
mentre sento d'attorno al lago ghiaccio
questa lingua straniera.
Nulla chiedono i visi che vedo, né la donna
che incede curva col bambino al petto.
Salgo sui monti: valli annerite; la piana nevicata,
fino laggiù nevicata non chiede
nulla, né il tempo chiuso entro cappelle mute,
né le mani protese  a cercare, o le strade.
Ho serbato la mia vita in un sussurro, dentro
l'illimitato silenzio
e non so più parlare né pensare: sussurri
come il respiro del cipresso quella notte,
come la voce umana del mare notturno
fra i ciottoli o il ricordo della tua voce che diceva
"buona fortuna".
Chiudo gli occhi cercando il convegno segreto delle acque
sotto il ghiaccio, il sorriso del mare, i pozzi chiusi
palpando con le mie vene le vene che mi sfuggono,
dove mettono capo le ninfee e l'uomo che cammina
cieco sopra la neve del silenzio.
Ho serbato la mia vita, con lui, cercando l'acqua che ti sfiora:
gocce che cadono grevi sopra le foglie verdi, sul tuo viso
nel giardino deserto, sopra la vasca immota,
cogliendo un cigno morto nel bianco delle piume,
alberi vivi e i tuoi occhi sbarrati.
Questa strada non termina e non muta, anche se tenti
di rammentare gli anni d'infanzia, e chi partì
e chi sparì nel sonno, nelle tombe marine,
anche se brami di vedere i corpi amati reclinarsi
sotto le rame rigide dei platani, ove un raggio
nudo di sole s'è posato, e un cane
ha sobbalzato e un battito ha riscosso il tuo cuore,
questa strada non muta: ho serbato la mia vita.
La neve
e l'acqua ghiaccia al passo dei cavalli.

"Epitafio"

I blocchi di carbone nella bruma
erano rose radicate nel tuo cuore,
la cenere velava il tuo viso
ogni mattina.
Sfrondando ombre di cipressi
te ne sei andata l'altra estate.

"Frammenti"

Fra due momenti amari non hai tempo
di rifiatare.
Fra il tuo viso e il tuo viso una forma di bimbo
tenera si profila e si cancella.
Nelle grotte marine
c'è una sete, un amore,
un rapimento,
rigide cose come le conchiglie
puoi tenerle nel palmo.
Nelle grotte marine
ti guardavo negli occhi giorni interi:
io non ti conoscevo e non mi conoscevi.


ANDONIU

"Alla nostra arte silente s'addice" (qualche verso)

Alla nostra arte silente s'addice questa notte
sulla frantumata superficie.
Ci sollevammo così vincendo l'abisso,
scoprendo il grido e dandogli consistenza
in una semplice e serena narrazione.
Lontano nel deserto del suo udito
chi attende l'arte nostra per vincere tutto questo?
Chi coglie i frantumi dei mondi
della tormentata epidermide della terra?
Chi salirà per misurare la profondità, conscio di lasciar perdere nell'abisso un fiore di semplicità?


"Lettera alla primavera dell'Attica" (qualche verso)

Quando ci avviamo sicuri dello scacco
consideriamo forse cos'è che ci fa cadere
e poi cos'è che ci porta a far fiorire la caduta?
Prima di salpare l'ultima volta, dicevamo:
come consumerai tanta strada con una rosa al cuore?
- Resistendo unicamente al ricordo del passato?-


MATSAS

"Sonno II"

Emergesti dal fondo del sonno
con stelle e conchiglie nelle palme,
con la cupa frescura dei mari negli occhi.
Mentre li schiudi voglio io per primo cogliere
il loro sguardo: chissà se riuscirò a carpire,
prima ch'esso svanisca, il senso del mondo
che ti ha trattenuto la notte intera.


GATSOS

"Amorgos" (qualche verso)

Lo so sulle tue labbra il fulmine ha scritto il suo nome
lo so nei tuoi occhi un'aquila ha costruito il nido
ma qui sull'umida riva è una sola strada
una strada ingannevole per cui devi passare
devi immergerti nel sangue prima che il tempo ti sorprenda
e passare oltre e raggiungere i tuoi compagni
fiori uccelli e cervi
....
e il tuo cuore tenga fermo
e la lacrima del dolore non stilli su questa terra
inesorabile
com'è stillata una volta sul diaccio deserto la lacrima
del pinguino
a nulla serve il lamento
la vita sarà uguale ovunque anche col sonaglio del
serpente nel paese degli spettri.


THEMELIS

"Il primo risveglio II -Sorge un nuovo sole-" (qualche verso)

Come i defunti nel sentire la voce...
(E come mettere insieme le ossa disperse
in giardini deserti, cimiteri.
Dove trovare gli occhi di prima spenti...)
....
Gli oggetti sono come di cristallo.
Danno riflessi, non possono parlare,
o spostarsi nello spazio.

Non hanno un nome, non hanno sangue.

Bramano il tuo sangue, la tua voce
per ottenere una eco,  rispondere.


ELITIS

"Marina degli scogli" (qualche verso)

Hai un sapore di tempesta sulle labbra -ma dove vagavi
tutto il giorno tra i duri sogni della pietra e del mare
un vento d'acquile ha spogliato i colli
fino all'osso ha scarnito il tuo desiderio
e le pupille dei tuoi occhi han preso la clava della
chimera
rigando di spuma la memoria!
....
Ma dove vagavi
tutta la notte tra i duri sogni della pietra e del mare
ti chiedevo di contare nell'acqua nuda i suoi giorni
luminosi
di godere supina l'alba delle cose
o di errare per gialle vallate
come un trifoglio di luce sul petto eroina di giambo.
Hai un sapore di tempesta sulle labbra
e una veste vermiglia come il sangue
nell'oro profondo dell'estate
e il profumo dei giacinti.


VARVITSIOTIS

"Morirono prima i fiori" (qualche verso)

Morirono prima i fiori poi moristi tu, padre.
Lasciasti solo una mano in nostra compagnia,
sospesa, triste, come ramo di mandorlo, inaridito.
Lasciasti una mano a carezzare ancora un po' la luce,
a riscaldare con l'ultimo sangue la nostra diaccia notte.
....
Ma non ti sento affatto parlare...
Rispondimi, parlami alfine senza parole,
come parla il mare nell'ora più calma
come parla la brezza alle fronde dell'albero,
come parla la nuvola alla sorella più celeste.
Neanche adesso ti sento parlare...
Solo la tua mano che resta ancora lì,
sospesa, triste, atteggiata nel suo supremo pallore
ci segue ovunque come sorriso di compassione,
come stella unica nella notturna nebbia,
eppure no, non voglio più nulla sentire.
Ora so il tuo profondo messaggio senza parole,
senza vani segni e allusioni,
con la tua implacabile semplicità so cosa intendi dirmi.


****

CONSTANTINOS KAVAFIS
Le Voci (1904)

Dei morti, dei perduti
come morti, per noi, voci ideali,
Amatissime voci...
Udibili nei sogni, talvolta;
dalla mente pensosa,
a volte, percepite.
Nel loro suono,
del poetico aprirsi, per un attimo,
di questa nostra vita qualche accento
riaffiora; e già è un lontano
nella notte, di musica, svanire.


"I Desideri" (1904)

Corpi fiorenti - morti - che tra pianti
furono, sfuggiti alla vecchiezza,
in un fulgente Mausoleo deposti
e rose il capo, gelsomino i piedi
ne cinsero... Tali appaiono
i Desideri che ci pervasero
senza che li colmassimo, a cui tolto
fu il saziarsi una notte una soltanto
e il raggiante risveglio di un mattino.


"La città" (1910)

Altra terra e altro mare sospiravi.
Trovare una Città, un supremo approdo.
Da contrapporre a questa dove incombe
su ogni mia passione una condanna
già prima emessa, e sul mio cuore pesa
come una tomba...

Mi pare essere un morto!
Anima mia, tanto disfacimento
come puoi contenere? Dovunque io qui posi
lo sguardo e aggiri gli occhi, in rottami
anneriti la frantumata vita
mia, eccola. In questo occupai gli anni:

a mutarla in deserto, a stroncarla.

Il Luogo insolito, la Sponda ideale
afferrarli non puoi. Un inseguito
dalla città tu sei. Un deambulare
per trite vie il tuo. Nei ribaditi
spazi di quel cantiere farti vecchio,
incanutire tra stanze consuete.

Ogni Altrove non è che questa riva,
questa città. Inutilmente speri
un altro porto per la tua nave,
un altro sbocco per la tua strada.

Come l'hai ridotta a rovina in una minima
striscia di mondo, non c'è immensità
che non rifletta della tua vita
lo strazio che ne hai fatto, irreparabile.


"Come finirà" (1911)

Spaventi ci consumano
e sospetti, la mente crolla,
l'orrore ci riempe gli occhi;
a come trarci fuori, certissimi
di un rischio immane, che incomba,
lo sforzo è fisso.
è un abbaglio. Là sul nostro cammino,
non sta scritto. Erano falsi indizi,
fraintendimenti delle mente sviata.
Repentina, ci è addosso, nel suo vortice
(siamo indifesi, è ormai tardi) ci porta via
un'altra inimmaginabile, rovina.


"Torna" (1912)

Torna, prendimi spesso, amato spasimo,
torna quando del corpo la memoria
si ralluma, in quegli istanti prendimi:
quando riagita il sangue le remote
sue voglie e a labbra e carne si agglutìnano
i ricordi, e sulle mani ancora
la sensazione del toccare infuria.
Torna più volte, prendimi di notte,
tutta la carne nel ricordo tendimi.


"Monotonia"

Segue a un giorno monotono un nuovo
giorno, monotono, immutabile
accadranno le stesse cose, accadranno di nuovo
tutti i momenti uguali vengono, se ne vanno
un mese passa e un altro mese accompagna
ciò che viene s'immagina senza calcoli strani:
è l'ieri, con la nota noia stagna
e il domani non sembra più domani.


"Ionica"

Se frantumati i loro simulacri
noi li scacciammo via dai loro templi,
non sono morti per ciò gli dei.
O terra della Ionia, ancora t'amano,
l'anima loro ti ricorda ancora,
come aggiorna su te l'alba di agosto
nell'aria varca della loro vita un empito
e un'eteria parvenza d'efebo,
indefinita, con passo celere,
varca talora sulle tue colline.


"Brame"

Corpi belli di morti, che vecchiezza non colse:
li chiusero, con lacrime, in mausolei preziosi,
con gelsomini ai piedi, e al capo rose.
Tali sono le brame che trascorsero
inadempiute, senza voluttuose
notti, senza mattini luminosi.

****

Qualche poesia e verso di Jannis Ritsos, Poeta Greco, presi dalla raccolta "Erotica" che comprende  "Piccola Suite in Rosso Maggiore" (1980), "Corpo Nudo" (1980), "Parola Carnale" (1981).

"Noi nasciamo con i morti, ne consegue che, entro i margini di un finalismo risolutore e insopprimibile, la morte somiglia alla vita"
Non è permesso in alcun modo e per nessun motivo affondare nel silenzio, o peggio nella volontaria ignoranza, l'amarezza delle lacrime, il morso della fame, lo strazio delle torture, l'incendio del sangue, il rattrappirsi del pensiero.

Poesia tratta da "Piccola Suite in Rosso Maggiore" (1980)

Rosso Rossissimo
il rosso
cancellalo col nero
sì col nero
fa' un foro nel foglio
getta dentro
i chiodi il coltello il nero -
ah rosso ucciso
la musica profonda.

Poesie tratta da "Corpo Nudo" (1980)

Con il rosso del sangue
io sono.
Sono per te.

***

Come spicca
nella notte
una rosa,
un riccio di mare
senza luna?

***

Un animale ucciso
il letto.
Il nostro sangue scorre.

***

Le sigarette, il letto,
lo spazio pieno del tuo corpo -
la statua del mio sangue.

***

No. Il ricordo del corpo
non è corpo.
Stringo
aria condensata.

***

Sangue il tramonto,
sangue la notte,
sangue le rose.
Tu - mio sangue.

***

Giorni, notti
di fuoco,
vetri rotti,
porte chiuse.
Una grande rosa
sale senza compagnia
nell'oscurità.

***

Come vivono i morti
senza amore?

***

Dall'inizio sillabai con te
la musica -
do, re, mi,
capovolsi le lettere
imerod-
trovai la musica per parlarti
senza essere udito.


Imerod ti chiamo,
Imerod -
forse così
onoro Imeros (*)
strappo la tua veste,
salgo la scala,
faccio digiuno d'acqua

(*) In Greco Antico, desiderio, brama

***

In tanta stanchezza
l'insaziabilità delle nostre mani.

***

Violette di bosco,
margherite di campo,
asfodeli.
Sulla roccia
l'ampolla di marmo
col mio sangue.

***

Anche la ripetizione
è un rinnovamento.
I tuoi capelli
sciolti da un lato
parlano diversamente.

***

Si allontanava il tempo,
ti allontani.
E la tua immagine immobile
sul muro interno.

***

Neanche stanotte la luna piena.
Ne manca una parte.
Il tuo bacio.

***

Questo timore
che sia rimasto qualcosa
ch'io non presi.
E il timore
che quell'infinito
abbia fine.

***

Strano -
si attenuano le luci,
si spengono le vetrine.
Prima che faccia notte
albeggia.


Poesia tratta da "Parola Carnale" (1981)

Le poesie che ho vissuto tacendo sul tuo corpo
mi chiederanno la loro voce un giorno, quando andrai.
Ma io non avrò più voce per ridirle allora. Perchè tu eri
abituata
a camminare scalza per le stanze, e poi ti rannicchiavi sul
letto,
gomitolo di piume, seta e fiamma selvaggia. Incrociavi le
mani
sui ginocchi, mettendo in mostra provocante
i piedi rosa impolverati. Devi ricordarmi così - dicevi;
ricordarmi così coi piedi sporchi; coi capelli
che mi coprono gli occhi - perchè ti vedo più profondamente
così. Dunque,
come potrò più avere voce. La Poesia non ha mai camminato
così
sotto bianchissimi meli in fiore di nessun paradiso.

***

"Il sangue / è per scorrere non visto nelle vene; per udirlo di notte"

***

"Sei l'oblio assoluto; / sei il ricordo assoluto. Sei la non incrinata fragilità / Fa giorno."

***

Poesia tratta da "Erotica"

Le Dita dei Piedi
Le Dita delle Mani
Falli
Tra Le Cinque Dita
quattro vulve
- venti più sedici -
prima ancora
che faccia il conto
Il Tuo Sperma zampilla
sulle labbra della statua.