Poesia del '900 \ Eugenio Montale

Riporto qui le mie Poesie preferite, del '900! :D

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La poesia del Novecento è influenzata sul piano espressivo dalle innovazioni introdotte dal Decadentismo, sul piano tematico dagli eventi che sconvolsero l'Europa nella prima metà del secolo, in particolare dalle Guerre Mondiali, i cui echi si avvertono nelle opere degli scrittori più significativi del Novecento, da Ungaretti a Montale (https://intervistemetal.blogspot.com/2022/01/eugenio-montale.html) a Quasimodo. (https://quasimodopoesie.blogspot.com/)

La produzione poetica di questi anni si articola in varie correnti letterarie che, pur nella loro diversità, presentano alcuni tratti comuni:

1) Il poeta non si atteggia più a vate, ma dichiara esplicitamente la propria inutilità e marginalità e si identifica con "un fanciullo che piange" (Corazzini), o con "un saltimbanco" (Palazzeschi) o un "uomo di pena" (Ungaretti). Egli non ha messaggi rassicuranti da inviare al lettore e può solo mettere a nudo, spesso con toni irridenti e provocatori o con espressioni amare e dolenti (Montale) la negatività dell'esistenza.

2) Le poesie sono solitamente brevi e scritte con linguaggio aspro ed essenziale, segno della profonda sofferenza esistenziale del poeta e della fatica con cui egli scava ogni parola nel profondo del suo animo.

3) è evidente in questi atteggiamenti il rifiuto di D'Annunzio e dell'immagine sontuosa e aristocratica del poeta e della poesia che egli aveva imposto con i suoi versi e stile di vita.

Le tendenze poetiche-artistiche e i personaggi più significativi del Novecento, in Italia, sono:

- Crepuscolarismo 
- Futurismo https://intervistemetal.blogspot.com/2018/11/introduzione-alle-avanguardie-e-al.html
- Ungaretti https://poesiamondiale.blogspot.com/2015/08/giuseppe-ungaretti.html e Montale
- l'esperienza isolata e controcorrente di Saba
- Ermetismo https://deisepolcriecimiteri.blogspot.com/2022/05/lermetismo.html

***

Con il termine "poeti crepuscolari" si indica un gruppo di scrittori che operano in Italia nel primo decennio del Novecento, e sono accomunati dal gusto per una poesia dai toni grigi, dimessi, quotidiani, malinconici. La loro produzione letteraria faceva pensare alla luce incerta del crepuscolo, dove lo splendore della grande stagione poetica dannunziana e pascoliana, invece, poteva essere paragonata alla luce accecante del meriggio.

Il movimento ebbe precisi limiti cronologici, gli anni tra il 1903 e il 1911 e un ben definita collocazione spaziale: si sviluppò a Roma, Torino, Ferrara.
A Roma vissero Sergio Corazzini, Fausto Maria Martini, a Torino Guido Gozzano, Carlo Chiaves, Nino Oxilia.
Si accostarono al Crepuscolarismo anche Aldo Palazzeschi, Corrado Govoni e Marino Moretti.
Vissuti in un'epoca in cui era ancora imperante il modello dannunziano sia negli atteggiamenti di vita sia nelle scelte culturali, i poeti crepuscolari si distaccano nettamente dai toni trionfali e vitalistici, prediligono semmai la poesia pascoliana delle piccole cose e si agganciano a modelli come Paul Verlaine, Maurice Maeterlinck, Georges Rodenbach, Francis Jammes, Jules Laforgue, scrittori intimisti e malinconici.

Questi poeti non si sentivano integrati nella realtà; avvertivano il vuoto e la falsità degli ideali ottocenteschi (Patria, Dio, Umanità, parole che Gozzano definirà "nauseose"), non sanno adattarsi alle leggi della società borghese, gretta, meschina, nei confronti dei quali assumono un atteggiamento oscillante tra rifiuto e rassegnata ironica accettazione.

Muta anche la funzione attribuita alla poesia: i crepuscolari non credono più al "poeta vate", dai versi alla maniera carducciana e dannunziana. Sanno che questo ruolo si è esaurito e che nella moderna società di massa la poesia non ha più niente da dire, si vergognano quasi di essere poeti e assumono atteggiamenti dimessi e autoironici. Corazzini dichiara di non essere un poeta, ma "un piccolo fanciullo che piange"; Moretti intitola una sua poesia "Poesie scritte col lapis", Palazzeschi provocatoriamente intitola "E lasciatemi divertire!"; Gozzano ringrazia Gesù di non averlo fatto "gabrieldannunziano" e si definisce "un coso con due gambe\detto guidogozzano"

Le tematiche predilette da questi poeti sono i piccoli eventi della vita provinciale e monotona, quieti e noiosi pomeriggi domenicali, giardini abbandonati abitati da statue consumate dal tempo, corsie d'ospedale, organetti di Barberìa, suorine pallide e silenziose, interni di case borghesi. Sul versante stilistico il lessico è umile, la sintassi lineare, i versi lunghi e zoppicanti, le rime imperfette e spesso facili.
Le donne che compaiono in questi componimenti non hanno nulla di fatale o misterioso, hanno nomi rassicuranti ed una bellezza semplice e campagnola.
Una sensazione di malinconia, di stanchezza, una lieve ombra di morte attraversa questo mondo umile e dimesso, in sintonia con l'esistenza stessa degli autori, alcuni dei quali morirono giovani (Corazzini, Gozzano) consunti dalla malattia del secolo: la tisi.

Pur restando apparentemente ai margini del panorama letterario italiano, i poeti crepuscolari hanno esercitato una notevole influenza sulla poesia del Novecento che ne ha ereditato atteggiamenti, tematiche e tecniche espressive. Anche la definizione stessa di crepuscolari è duplice e ambigua: come il crepuscolo indica quel momento di passaggio tra la luce e il buio che si verifica sia al tramonto sia all'alba, così la poesia crepuscolare segna per un verso la conclusione della grande stagione poetica di fine Ottocento, per l'altro l'inizio della poesia moderna.

 I versi più belli


tratte da questa serie di antologie



GIOVANNI GIUDICI

"La Bovary c'est moi"

Vorrei poterti abolire
abolendo me stessa
come abolendo te stesso
tu mi potresti
abolire per fare a tutti
dire:
"di cosa mai parla questa pazza senza pudore,
senza il coraggio di morire per amore"


GIANPIETRO LUCINI (Crepuscolare)

"Cristalli di luce ed ombra"

Un mio pensiero Ophelia triste e stanca,
naviga alla deriva di un torrente,
la terra resupina, molle e bianca,
dorme sull'acque sussurranti e lente?
S'attarda il corso, s'attenua manca ed estua
in una gora putrescente.
A che pensiero morbido si stanca a languire
sul volto pigramente?
Muoija il pensiero!
Ophelia è morta e sta sopra il letto dell'acqua immemoriale.
Tonda la Luna, topazio ed opale solecchia sullo stagno.
Il teschio ride; (*)
ghigno convulso di luce s'include.
Brividi lunghi e fredde ambiguità. 


(*) è il teschio celebre dell'"Amleto"



RICCARDO BACCHELLI (Rondista)

"Epitaffio"

Che cosa c'è,
che cos'è Lei
la Morte lo sa
ma lo racconta solo ai morti.


ATTILIO BERTOLUCCI (Ermetismo)

"Inverno"

Inverno, gracili sogni sfioriscono sugli origlieri,
giardini lontani fra nebbie nella pianura,
che sfuma in mezzo alle luci dell'alba.
Voci come un ricordo d'infanzia,
prigioniere del gelo: s'allontanano verso la campagna.
Ninfee dagli occhi dolci e chiari
fra gli alberi spogli, sotto il cielo grigio,
cacciatori che attraversano un ruscello,
mentre uno stormo d'uccelli s'alza in volo.


GUIDO GOZZANO

"Della Testa di Morto - Acherontia Atropos - "

Nelle sere illuni
fredde stellate di settembre
quando il crepuscolo già cede alla notte...

da "L'analfabeta"

[...] Anche dice talvolta, se mi mostro
taciturno: "Tu hai l'anima ingombra.
Tutto è fittizio in noi: e Luce e Ombra:
giova molto foggiarci in modo nostro!

E se l'ombra s'indugia e tu rimuovine
la tristezza. Il dolore non esiste 
per chi s'innalza verso l'ora triste
con la forza di un cuore sempre giovine.

da "L'amica di nonna Speranza"

[...] Non vuole morire, non langue il giorno. S'accende
più ancora
di porpora: come un'aurora stigmatizzata di sangue.

da "Invernale"

[...] Rabbrividii così, come chi ascolti
lo stridulo sogghigno della Morte,
e mi chinai, con le pupille assorte,
e trasparire vidi i nostri volti
già risupini lividi sepolti...


ALESSANDRO PARRONCHI (Ermetismo)

"Tacciono i corvi"

Il tempo s'è rinchiuso
non è da sperare che prima di sera l'orizzonte rischiari.
Ma è finito il comizio, più nessuno contesta all'erba
di crescere sui greti e dare all'anno il suo nuovo colore,
in silenzio le strade risalgono al borgo che vela il capo nella nebbia.
Tacciono i corvi mentre in cuore si sveglia
in un rimescolio dolce la voluttà.


GIOVANNI TESTORI

"Tutto puoi dire di me"

T'ho amato con pietà
con furia ti ho adorato,
t'ho violato, sconciato,
bestemmiato.
Tutto puoi dire di me
tranne che t'ho evitato.


ALDO PALAZZESCHI

"Riflessi"

Rasentano piano gli specchi invisibili
avvolti di nebbia, non lasciano traccia
nell'ombra, gli specchi non hanno riflessi,
non cade su loro dell'ombra una macchia
neppure la macchia dell'oro.
Un raggio vien fuori dal centro
di luce giallastra.
Sul raggio rimangono lievi, impalpabili,
impronte sfumate di luce, di nebbie: riflessi.


ANGELO BARILE: "Il peccato"

Non l'udivamo respirare calmo a noi,
dapresso bocche giunte, il sangue in avvio per meandri
al dolce abisso, non ne udivamo frangere la voce.
Ci toccò ch'eravamo melodia svenata
grido, che cade trafitto, e le complici bocche
erano estuanti all'amarezza,
tornavano labbra, tra poco dissonavano.
Allo foce stagnò l'istante,
il silenzio sciacquò in quello il mare,
inazzurrò la stanza,
battè alla sponda del nostro origliere:
a noi notturni, maculati
infanzia novità della terra che respira,
a noi nemico paradiso.
L'anima con i gigli grevi si destò
dei padri sulle rive fuggite, e le sentimmo ritremare.
Cadevamo, due pietre,
per quella prima purità a foreste e nascondigli d'alghe.
Sorelle, al nostro oscuro tremito,
sommerse chiome smarrite sul tuo volto d'Eva.


ELIO FILIPPO ACCROCCA

"A due voci"

Che altro vuoi da me Disperazione?
Hai colpito nel segno, Crudeltà.
Hai colmato il bicchiere, Solitudine.
Mi stai nutrendo, Ira.
Sono tuo pasto, Follia.
Mi avvolgi nel tuo manto, Bestemmia.
Integralmente mi percorri, Orrore.
Abiterò in te, Vuoto.
Mi hai piegato, Nulla...
Sei finalmente appagata, Negazione?
Sarò sempre tuo ospite, Tenebra?
Mai più risalirò da questo Abisso?

... Padre nostro non so dove tu sia:
ti chiedo solo un grammo di speranza.


ARTURO ONOFRI (Ermetismo)

"Vincere il drago"

Ma qui ti mando il grido del mio sangue
ch'agita la foresta della veglia.
Oh mio rosso cavallo...
O conscia anima angelica,
O racchiusa crisalide
il tuo guscio era un morire
della tua luce entro la notte oscura
d'un antico tuo male inconosciuto.
Or che tu stessa infrangi
la parete del tuo passato,
irromperà la morte in quel tuo chiuso
e sveglierà dal cupo del sonno antico
un angelo primevo che aprirà le sue grandi ali di fuoco,
rari all'amore che ti volle vita.


GIORGIO VIGOLO (Ermetismo)

"Circe"

E chissà che questa non sia la morte,
pallide strade perdonsi nell'erba stridula
al vento della sera fredda:
alberi non vedo, né casolari.
Ma solo il circo dei monti deserti
che orla ancora un tramonto solo.
A mano a mano che inoltro mi spoglio d'umanità
nel desolato vespero.
I prati, il cielo, mi vuotano l'anima
e mi sento lentamente
svenire dalla solitudine che m'assorbe.
Non resisti alla gran forza dei monti che ti si bevono
come una pioggia e i ricordi scendono sotto terra,
che nome avevi adesso non sai più.
Tremendi i colori della campagna
quando consumano i tuoi sensi umani
e a poco a poco ti mutano in terra.
Quando ti fanno diventare prato,
distesa d'acque,
orrore di pietraia.
E non ti puoi più alzare in piedi e chi amare.
Solitudine, hai vinto.


"I fantasmi di pietra: corale"

La musa della morte mi s'inghirlanda di rose di fuoco
e offre il ramo d'oro al re dell'ombre perchè mi lasci
passare di là. Sento che la mia musica
è alla fine, ma ogni lutto l'anima si sgombra
e il canto spiega tutto
stese l'ali a un sole che illumina dal fondo.


ADRIANO GRANDE

"Coro sul lete"

Ora sappiamo il nulla di ogni cosa:
ma per vivere ancora accetteremmo
d'esser la pietra su cui l'acqua scorre,
il fango ove l'insetto si riposa,
l'erba sulle rovine di una torre.

"Ghironda"

Nella notte la fratta e la giuncaia
han voci di ghironda, acute strida meccaniche,
confuse a lagni umani.
Escono come da un antro teatrale dalla valletta concava
che accoglie la tramontana
e ne imprigiona il gelo.
La superficie dello stagno è immota,
non ha più sguardo. è come la pupilla d'un cadavere,
e in tanto alberi ed erbe vibrano sino alle radici,
sino alle fibrille. Viene di lontano,
dalle alte nevi. I colli e le pianure,
le regole, le strade nere e grigie,
e i sentieri ancor verdi,
tutto fustiga, tutto l'inverno castiga.
Giudizio, immute e senza scampo,
punizione della natura spensierata.
è simile, ohimé, questo rovaio alla vecchiezza dell'uomo.
Allora che tepor cercando ai ricordi si volge: e in essi
incontra la giuncaia e gli sterpi dell'errore,
la voce di ghironda dei rimorsi.


ADOLFO DE BOSIS

"I Notturni"

Il tramonto disfiora sue magiche
ghirlande lento; e una dolce spande
malinconia per l'ora.
Nuotano i sogni ancora a elisie lande...?
Ma l'anima il pure grande tuo bacio
O Notte, implora.
Ben tu venga, O Possente Notte!
L'augusta calma piovi a le cose ed elle
bevan l'oblio fluente dal sen tuo vasto.
E l'alma vigil, con le stelle
Quali rive quiete la nostra anima corse placida?
O questa è forse la pigra acqua d'un lete?
Quali or dunque segrete virtù piovver da l'orse fatali?
O chi mai forse l'onda a l'oscura sete?
Notte, ahimé, che improvviso brivido,
fuor da l'urna gelida, effondi! E in lente spire
l'antico riso tenue, 
o taciturna, dai lacrimosamente.
   

GIROLAMO COMI

"La morte"

Notte velata d'aliti d'eterno:
il tempo è un sogno fermo sullo spazio che si dilata
e freme custode della crescita di un seme che sa di terra e di umanità...
Il tempo - intendo - pare intatto e fermo - zaffiro acceso nell'oscurità della notte che regna illimitatamente sulla zolla pregna di morti ansiosi d'immortalità.

"Nella memoria: oh bei paesaggi uniti"

Nella memoria: oh bei paesaggi uniti
dalle diverse età
dell'anima le aurore fra caligini argentee ed auree di fiore
hanno l'alito di giardini mitici.
....
Canti inespressi: ma di essi il tremore
(illimitato fra più pause e resse d'inviti forti d'arcane promesse) è segno e pegno di sfere d'amore.
Oh tempo che bruciando ti trasformi senza limite di stagioni e giorni di luce universale di costanti armonie accese,
di sorgivi incanti, di te nutriti e nel tuo giro immessi
ricuperiamo spiriti e sembianti della nativa effigie di noi stessi.


EUGENIO MONTALE

"L'incomunicabilità", concetto che divenne celebre nella letteratura e persino nel cinema del Novecento è stato inventato da Eugenio Montale: nella sua poesia "Non chiederci la parola" scrisse che per penetrare il mistero della vita poteva al massimo dire qualche sillaba "storta e secca", dire "solo ciò che non siamo, ciò che non vogliamo".
Eugenio Montale non è un poeta facile che si è abbandonato al flusso dei sentimenti.
Al contrario, riteneva che la poesia fosse possibile solo come "il germoglio di un fatto di cultura". Per cultura Montale non intendeva una serie di nozioni: nei suoi versi non troviamo richiami a personaggi ed eventi del passato.
Il poeta è un uomo "che sa", un uomo che fa passare le proprie emozioni attraverso il filtro di una sensibilità affinata da studi profondi e dalla meditazione.
Questo spiega perché Montale in un quarantennio abbia fatto uscire solo tre volumi: "Ossi di seppia" (1925), "Le occasioni" (1939),  "La bufera e altro" (1957).
Le poesie di Montale parlano di condizione umana in sé considerata, non avvenimenti storici; l'essenziale, per Montale, è il dramma continuo, fatale, dell'esistenza, cioè il male di vivere.

"Spesso il male di vivere ho incontrato\era il rivo strozzato che gorgoglia,\era l'incartocciarsi della foglia riarsa,\era il cavallo stramazzato.\Bene non seppi, fuori del prodigio\che schiude la divina Indifferenza: era la statua nella sonnolenza\del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato."

Montale identifica il male nel rivo strozzato, nella foglia riarsa, nel cavallo stramazzato cioè in tre immagini che colgono la vita nel momento culminante di un dramma. Di fronte a queste immagini non c'è che un solo bene: la divina Indifferenza, che si manifesta nella statua addormentata, nella nuvola ferma in cielo, nel falco il cui occhio osserva con supremo distacco tutto ciò che accade sulla Terra. Ma il cuore dell'uomo non può avere la felice indifferenza simboleggiata dal falco. L'uomo è fatto di passioni che il tempo distrugge: ecco il tema doloroso della "Casa dei doganieri"

"Tu non ricordi la casa dei doganieri\sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:\desolata t'attende dalla sera\in cui v'entrò lo sciame dei tuoi pensieri\e vi sostò irrequieto.\Libeccio sferza da anni le vecchie mura\e il suono del tuo riso non è più lieto:\la bussola va impazzita all'avventura\e il calcolo dei dadi più non torna.\Tu non ricordi; altro tempo frastorna\la tua memoria; un filo s'addipana.\Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana\la casa e in cima al tetto la banderuola\affumicata gira senza pietà.\Ne tengo un capo; ma tu resti sola\né qui respiri nell'oscurità.\Oh l'orizzonte in fuga, dove s'accende\rara la luce della petroliera!\Il varco è qui? (Ripullula il frangente\ancora sulla balza che scoscende...)\Tu non ricordi la casa di questa\mia sera. Ed io non so chi va e chi resta."

Un uomo torna nella casa dove un giorno le mura corrose dal libeccio hanno "ascoltato" il riso di una donna e cerca di ricreare la felice atmosfera di un tempo. Ma la creatura che ama è lontana e non si lascia afferrare dal filo della memoria. Per ritrovare la felicità perduta bisogna essere in due, altrimenti "il calcolo dei dadi più non torna" ed è inutile cercare un varco materiale per raggiungere così che appartiene al cuore. Chiusa ogni possibilità di incontro rimane la condanna alla solitudine. 
è l'amara accettazione della realtà, quel non sapere "chi va e chi resta", come se "la casa dei doganieri" cioè la vita, fosse un luogo dove l'uomo e la donna sono destinati a "trovarsi" solo per brevi istanti e poi, superata l'occasione contingente, a perdersi per sempre...

"Non saprei spiegare come la poesia nasce in me: so solamente che ogni mia poesia è preceduta da una lunga e oscura gestazione, nella quale però non è contenuto nulla di prevedibile: né l'argomento né il titolo né l'ampiezza dello sviluppo. In certi casi ho l'impressione che due o tre poesie diverse, precipitando, si siano fuse insieme. Finito il periodo dell'incubazione scrivo con molta rapidità e con pochi ritocchi."

Così Montale parlava di se stesso, e il segreto della sua poesia consiste proprio nella sua lunga e oscura gestazione. Dietro ogni parola si avverte che il poeta ricerca una verità che superi le occasioni contingenti della vita.

In definitiva la poesia di Montale è la sofferta biografia di un uomo che ha sempre distinto l'eterno dal transitorio, e quindi appartiene alla cronaca dei giorni che passano e precipitano nella "fossa senza echi del tempo". Montale è un grande poeta perché ha trovato una forma tutta sua per esprimere il dramma eterno dell'esistenza.
Questa forma è data da un modo particolare di trattare il verso e dall'uso di talune parole che a una prima lettura stridono, quasi che il poeta le avesse messe lì per rompere la dolce melodia del discorso poetico.  La musica della poesia di Montale ci fa pensare a volte al mare che si frange sugli scogli dando vita a un canto insieme continuo e rotto da mille echi diversi.

Altre poesie:

"I limoni"

[...] Meglio se le gazzarre degli uccelli\si spengono inghiottite dall'azzurro:\più chiaro si ascolta il susurro\dei rami amici nell'aria che quasi non si muove\e i sensi di quest'odore\che non sa staccarsi da terra\e piove in petto una dolcezza inquieta.\Qui delle divertite passioni\per miracolo tace la guerra,\qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza\ed è l'odore dei limoni. [...] Lo sguardo fruga d'intorno,\la mente indaga accorda disunisce\nel profumo che dilaga\quando il giorno più languisce.\Sono i silenzi in cui si vede\in ogni ombra umana che si allontana\qualche disturbata Divinità.\[...] La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta\il tedio dell'inverno sulle case,\la luce si fa avara - amara l'anima.

"Falsetto"

Esterina, i vent'anni ti minacciano,\grigiorosea nube\che a poco a poco in sé ti chiude.\[...] Salgono i venti autunni,\t'avviluppano andate primavere;\ecco per te rintocca\un presagio nell'elisie sfere. [...]

"Meriggiare pallido e assorto"

Meriggiare pallido e assorto\presso un rovente muro d'orto,\ascoltare tra i pruni e gli sterpi\schiocchi di merli, frusci di serpi.\Nelle crepe del suolo o su la veccia\spiar le file di rosse formiche\ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano\a sommo di minuscole biche.\Osservare tra frondi il palpitare\lontano di scaglie di mare\mentre si levano tremuli scricchi\di cicale dai calvi picchi.\E andando nel sole che abbaglia\sentire con triste meraviglia\com'è tutta la vita e il suo travaglio\in questo seguitare una muraglia\che in cima cocci aguzzi di bottiglia.

"Dora Markus"

Fu dove il ponte di legno\mette a Porto Corsini sul mare alto\e rari uomini, quasi immoti, affondano\o salpano le reti. Con un segno\della mano additavi all'altra sponda\invisibile la tua patria vera.\Poi seguimmo il canale fino alla darsena\della città, lucida di fuliggine,\nella bassura dove s'affondava\una primavera inerte, senza memoria.\(...)\Ravenna è lontana, distilla\veleno una fede feroce.\Che vuole da te? Non si cede\voce, leggenda o destino...\Ma è tardi, sempre più tardi.

La speranza di pure rivederti\m'abbandonava;\e mi chiesi se questo che mi chiude\ogni senso di te,\schermo d'immagini,\ha i segni della morte o dal passato\è in esso, ma distorto e fatto labile,\un tuo barbaglio;\(a Modena, tra i portici,\un servo gallonato trascinava\due sciacalli al guinzaglio)


"Notizie dall'Amiata"

[...] Le stelle hanno trapunti troppo sottili,\l'occhio del campanile è fermo sulle due ore,\i rampicanti anch'essi sono un'ascesa\di tenebre ed il loro profumo duole amaro\(...) Il lungo colloquio coi poveri morti, la cenere, il vento\il vento che tarda, la morte, la morte che vive (...) 

"Voce giunta con le folaghe"

Poiché la via percorsa, se mi volgo, è più lunga\del sentiero da capre che mi porta\dove ci scioglieremo come cera,\ed i giunchi fioriti non leniscono il cuore\ma le vermene, il sangue dei cimiteri,\eccoti fuor dal buio\(...)\L'ombra che mi accompagna\alla tua tomba, vigile,\e posa sopra un'erma ed ha uno scarto\altero della fronte che le schiara\gli occhi ardenti\(...)\L'ombra non ha più peso della tua\da tanto seppellita, i primi raggi\del giorno la trafiggono, farfalle\vivaci l'attraversano, la sfiora\la sensitiva e non si rattrappisce.\(...)

"Piccolo testamento"

(...) Quando spenta ogni lampada\la sardana si farà infernale\e un ombroso Lucifero scenderà su una prora\del Tamigi, del Hudson, della Senna\scuotendo l'ali di bitume semi-\mozze dalla fatica, a dirti: è l'ora. (...)

A.C

Tentammo un giorno di trovare un modus\moriendi che non fosse il suicidio\né la sopravvivenza. Altri ne prese\per noi l'iniziativa; e ora è tardi\per rituffarci dallo scoglio.\[...]

"I miraggi"

Non sempre o quasi mai la nostra identità\personale coincide col tempo misurabile \dagli strumenti che abbiamo\[...]


"Non recidere, forbice, quel volto"

Non recidere, forbice,
quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso
in ascolto
la mia nebbia di sempre.
Un freddo cala...
Duro il colpo svetta.
E l'acacia ferita da sé
scrolla il guscio di cicala
nella prima belletta
di Novembre.

"Forse un mattino andando in un'aria di vetro"

Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di getto
alberi case colli per l'inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.


CAMILLO SBARBARO

Una mortale pesantezza
il cuore m'opprime
inerte vorrei esser fatto.
Come qualche antichissima
rovina e guardare succedersi le ore,
e gli uomini mutare i passi, i cieli,
all'alba colorirsi, scolorirsi
a sera....


Giaci come
il corpo, ammutolita, tutta piena
d'una rassegnazione disperata


Forse. Ma il gesto che ti incise dentro
io non ricordo, e stillano in me dolce
parole che non sai di aver detto


ARDENGO SOFFICI

"Rallumina il viso disfatto dalle antiche stagioni..."

Navigo nell'assoluto mia patria e vorrei dimenticare il corpo che sempre è con noi. La forma della libellula matematica che è il mio destino.


ANTONIA POZZI

"Lieve offerta"

Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera
come le estreme foglie
dei pioppi, che s'accendono al
sole
in cima ai tronchi fasciati
di nebbia.
Vorrei condurti con le mie parole
per un deserto viale, segnato
d'esili ombre -
fino a una valle d'erboso silenzio,
al lago ove
tinnisce per un fiato d'aria
il canneto
e le libellule si trastullano
con l'acqua non profonda.
Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera,
che la mia poesia ti fosse un
ponte,
sottile e saldo,
bianco sulle
oscure voragini
della terra.


MARIO NOVARO

"Quante volte ancora"

Questi pini,
questi cipressi,
e le rose, come sangue
rosse, quante volte ancora
quando io più non sia,
stupita guarderà la Luna,
mute cennando
guarderan le stelle,
sul colle che solo restava
con me nel silenzio notturno a meditare!


MARINO MORETTI

"La Domenica di Bruggia"

è, sì, in questo crepuscolare giorno
che l'anima prova
il bisogno di una nuova
solitudine e d'andare...


Non ode. Volta. Pallide inquiete mani.
La testa fra le due candele.
Anima dammi un poco del tuo fiele
un poco del tuo male, anima: ho sete.


UMBERTO SABA

"Prima Fuga"

Nero come là dentro è nel mio cuore;
il cuore dell'uomo è un antro di castigo.


Su CORAZZINI vedi: http://poesiamondiale.blogspot.com/2015/08/sergio-corazzini.html


GIOVANNI PRATI

Nato a Campomaggiore, presso Dasindo, Trentino, nel 1814 e morto a Roma nel 1884. Perseguitato dall'Austria per le sue idee liberali, si rifugiò in Piemonte, sotto la protezione di Casa Savoia, della quale cantò, in versi piuttosto retorici, le glorie insieme a quelle della Patria. è il rappresentante più noto del Secondo Romanticismo.
Piacque molto ai contemporanei, per la facile musicalità delle sue rime; alla fine della sua vita, però, si vide oscurato dalla fama del Carducci.

"E continuo..."

In questo sonetto, della raccolta "Psiche", ritroviamo ancora un paesaggio notturno così caro ai poeti romantici. Il silenzio si diffonde nella selva e un lieve bisbiglio, simile a tenue lamento di anime del Purgatorio, viene dalle foglie. Al poeta sembra che sia la voce del tempo infinito che viene a lui insieme a quella dei suoi cari scomparsi e l'anima sua si placa, sebbene per poco, in quel mondo misterioso che lo distoglie dalla realtà triste del presente.

Quando la sera, senz'ala di vento,
per la tacita selva si diffonde
lieve un bisbiglio, e par sott'ogni fronde
esser ascosa un'anima in lamento (1) 
i' me ne vo solingo e a passo lento
per quel rumor che viene i' non so d'onde,
e ciò ch'ei mi palesa o mi nasconde
somiglia a ciò che di più arcano io sento. (2) 
L'ombra, il tempo infinito e i suoi misteri,
con l'amore e il dolor di ciò che sparve,(3) 
odo tutto nel suon di quelle foglie.
E continuo a formar passi e pensieri:
e questo mondo, (4) foss'ei pur di larve,
per poco all'altro, ch'è peggior, mi toglie. (5) 

1) Un'anima del Purgatorio che mandi tenui lamenti 
2) Ai sentimenti vaghi e misteriosi che si agitano nell'anima mia.
3) Dei morti a me cari
4) Infinito e pieno di mistero, anche se formato di fantasmi vani 
5) Mi fa dimenticare, sebbene per poco, la realtà dolorosa nella quale vivo.


"Silenzio"

è uno dei sonetti più sereni del Prati; è notte alta: un vasto silenzio si diffonde nel cielo illuminato dalla luna sorgente, sul mare sconfinato e calmo, sui monti immersi nel buio, sul camposanto dove i morti dormono il loro sonno lungo, in attesa del giorno del giudizio. Il poeta accoglie assorto le parole misteriose che esso mormora alla sua anima pensosa.

Il silenzio del ciel, quando v'ascende
il notturno e solingo astro d'argento;
il silenzio del mar, quando si stende
sconfinato, senz'onda e senza vento;
il silenzio del'alpi, ove né armento
bela, né foco di pastor s'accende;
e il silenzio del verde, (1) ove ogni spento (2) 
trae la gran notte, e il suo mattino attende:
un'infinita novità di cose (3) 
va mormorando nell'amara valle
questo silenzio all'anime pensose.
E in compagnia di questo, (4) andar sovente
piacemi per lo mio romito calle, (5) 
mentre aggrada far altro a l'altra gente.

1) Del camposanto, cioè coperto sempre di verde.
2) Dove tutti i morti [ogni spento] dormono il sonno della morte [la gran notte], aspettando la risurrezione [il suo mattino]
3) Il soggetto è "questo silenzio": questo silenzio suggerisce in questa nostra terra, amara valle di lacrime, tanti sentimenti nuovi alle anime pensose.
4) è sottointeso "silenzio"
5) Per il mio solitario cammino