Poesia Epica e Latina







"Orlando Furioso" di Ludovico Ariosto (1504)

In questo passo, Ariosto celebra il Furore di Orlando... è talmente tanto Furioso che non gli serve nessuna arma per combattere...


In tanta Rabbia,
in tanto Furor venne,
la Spada in Mano non gli sovvenne,
che fatte avrebbe Mirabil Cose, penso.
Ma né Spada né Scure,
necessitavano al Suo Vigore Immenso.



"I LUSIADI" di LUIS DE CAMOES (1545)

In questo passo, il poeta celebra il Re del Portogallo, che viene omaggiato dalle imprese di Vasco de Gama che va a conquistare nuovi regni per l'impero portoghese... il poeta intende chiedere al Re, tanto Potente e Elevato, di abbassare un poco la Testa, per potersi offrire alla vista e alla celebrazione del poeta stesso....

Voi Potente Re,
il cui Superbo Impero del Sole
appena nasce, vede per Primo,
e vede pure stando in mezzo
al firmamento. E quando cala
lascia dopo ogni altro,
chinate un po' la Maestà
che Vi contemplo in Questo Giovin Volto
e nei Futuri Anni,
quando ascenderete al Tempio dell'Eternità.


Omero "Odissea"

Musa, quell'Uomo di Multiforme Ingegno
dimmi
che molto errò, poichè ebbe eretto
le Sacre Torri.
Che città vide molte.
e delle genti l'indol conobbe.


Questa invece, è una parte dell'Odissea, dove un'ancella serve l'Eroe...

Un'ancella, recando un'anfora d'oro,
l'acqua per le mani,
l'infuse nella bacinella argentea.
Poi stese innanzi una mensa
ove dispose i pani e molti cibi
e porse alti vassoi e mise
innanzi calici d'oro.



Omero "Iliade"
(traduzione di Vincenzo Monti)

Canto I

Cantami, o Diva,(1) del Pelide Achille (2)
l'ira funesta, che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco
generose travolse alme d'eroi,
e di cani e d'augelli orrido pasto
lor salme abbandonò (così di Giove
l'alto consiglio s'adempìa), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de' prodi, Atride, (3) e il divo Achille.
E qual de' numi inimicolli? Il figlio
di Latona e di Giove.(4) Irato al Sire
destò quel Dio nel campo un feral morbo,
e la gente perìa; colpa d'Atride,
che fece a Crise sacerdote oltraggio.
Degli Achivi era Crise alle veloci
Prore venuto a riscattar la figlia
con molto prezzo. In man le bende avea,
e l'auro scettro dell'arciere Apollo;
e agli Achei tutti supplicando, e in prima
ai due supremi condottieri Atridi:
O Atridi, ei disse, o coturnati Achei,(5)
gl'immortali del cielo abitatori
concedanvi espugnar la Priameia
Cittade,(6) e salvi al patrio suol tornarvi.
Deh! mi sciogliete la diletta figlia;
ricevetene il prezzo; e il saettante
Figlio di Giove rispettate.   


1) Calliope, la Musa della poesia epica.
2) Figlio di Peleo.
3) Agamennone, figlio di Atreo.
4) Apollo.
5) Il coturno era la scarpa usata dai cacciatori e in seguito dagli attori tragici.
6) Troia, governata da re Priamo.



Questa è un inno:

Stendeste la Vostra Destra
e la terra li inghiottì,
guidaste con la Vostra Benignità
con la Vostra Potenza
conducete alla Santa Dimora
i popoli che Vi udirono e tremarono.
Spavento e Terrore li assale,
per la Possanza del Vostro Braccio,
ammutoliscono come le pietre

(Esodo, Antico Testamento 13, 17-22, 14,15)



Questi sono i versi del poeta Omodeo. La poesia originale è rivolta a Zeus....

Re dell'Olimpo,
Il vostro volere è Legge,
uomini e Dei cercano di sottrarsi
con astuzie...

perchè Tremenda è la vostra collera.
Voi siete L'Adunatore dei Nembi,
Il Padrone dei fulmini che scagliate
Contro coloro che trasgrediscono
La vostra volontà.



Una poesia tratta da un'antologia cinese...

"Canto del Grande Vento" di Kao Tzu
(247-195 AC)

Il Grande Vento si leva
e le nuvole salpano.
Ho esteso la Mia Potenza
per l'Universo intero
e torno alla terra natale.
E ora, come trovare
gli Eroi che dovranno vegliare
su tutte le Mie Frontiere?




****


Marziale "Fabulla" (traduzione di mio padre, Gabriele)
 
Bella es, novimus, et puella, verum est.
Et dives, quis enim potest negare?
Sed cum te nimium, Fabulla, laudas,
nec dives, neque bella, nec puella es.


 
Bella sei, lo sappiamo, e ragazza, è vero,
e ricca, chi potrebbe negarlo?
Ma quando da sola, troppo, Fabulla, ti lodi,
non sei né bella, Fabulla, né ricca e né fanciulla.


 


Catullo, che canta Diana:


Noi vergini fanciulle,
noi puri giovanetti
vogliamo
pregare Diana col canto.
O santa figlia di Giove
Latonia, tu sei nata
a Delo tra gli ulivi
perchè tu diventassi
la regina dei monti,
delle selve virenti,
delle rupi lontane,
tu dei fiumi sonori
immortale Signora.
Te Lucina le madri
invocano nei parti,
tu sei chiamata Trivia,
tu Luna per la luce
non tua.
E misuri il cammino degli anni,
annunzi il mutamento
delle stagioni
e di buoni frutti ricolmi
le case dei villani.
E sii come tu vuoi
sempre santa nel nome;
assisti come un tempo
solevi, tu buona Dea,
questa prole di Romolo.


 
Testo originale:


Dianae sumus in fide
puellae et pueri integri:
Dianam pueri integri
Puellaeque canamus.
O Latonia, maximi
magna progenies Iovis,
quam mater prope Deliam
deposivit olivam,
montium domina ut fores
silvarumque virentium
saltuumque reconditorum
amniumque sonantum.
Tu Lucina dolentibus
Iuno dicta puerperis,
tu potens Trivia er notho's
dicta lumine Luna.
Tu cursu, dea, menstruo
metiens iter annuum
rustica agricolae bonis
tecta frugibus exples.
Sis quocumque tibi placet
sancta nomine, Romulique
Antique ut solita's, bona
sospites ope gentem. 


 
***


Quest'altra Poesia, di Orazio:


Vergine che visiti le selve
dei monti, che il gemito
ascolti delle spose nel parto
invocata tre volte
e le togli alla morte,
diva triforme;
il pino che oltre il mio tetto
si alza ti consacro:
ed io per ogni anno che passa
il sangue gli offrirò di cinghiale
che obliqui colpi medita.




Testo originale:


Montium custos nemorumque, Virgo,
quae laborantis utero puellas
ter vocata audis adimisque leto,
diva triformis,
imminens villae tua pinus esto,
quam per exactos ego laetus annos
verris oblinquom meditantis ictum
sanguine donem.


 

***



OVIDIO: "Bacco e Arianna". Brano tratto dall'Antologia di Scrittori Latini a cura di Marchesi e Campagna (Casa Editrice Giuseppe Principato, 1967)


Arianna, figlia di Minosse, re di Creta, era partita dalla terra natale seguendo Teseo, ch'essa aveva aiutato a uscire dal labirinto, dopo aver ucciso il Minotauro; ma nell'isola di Nasso, l'eroe ateniese abbandonò la fanciulla mentre era immersa nel sonno. Il poeta descrive la sventurata eroina, appena desta dal sonno, che va stordita e pazza per quell'isola sconosciuta; e dallo stordimento, appena sente l'orribile realtà dell'abbandono e del tradimento, passa all'urlo, all'invettiva vana e disperata lanciata per i flutti impassabili e sordi. E finalmente viene il grido angoscioso e disperato: "Che ne sarà di me?" mentre intorno incombe un mostruoso silenzio di solitudine marina. "Che ne sarà di me?" ripete disperatamente Arianna. Ed ecco subitaneo, assordante, lo scoppio del corteo bacchico, che rimbomba frenetico per tutta la spiaggia.


Arianna viene quindi portata via dal Dio e assunta in cielo tra le costellazioni boreali.


 
Sopra le ignote arene errava Arianna, impazzita, dove l'ondata batte la sponda dell'isola Dia.
Desta dal sonno, un velo di tunica intorno le svola: e nudi i piedi e sciolte le bionde chiome.
"Teseo crudele!" ai flutti, che non udivano, urlava: e un gran pianto rigava le tenere guance innocenti.
Gridava e piangeva: ma il grido e il pianto le davano grazia; il pianto non aveva alterato il volto suo bello.
Battea, battea con le palme il morbidissimo seno. "Lo spergiuro è fuggito", diceva, "E di me che sarà?"
Diceva "E di me che sarà?" Ah! Scoppia per tutta la spiaggia un suon di cembali e timpani percossi da mani furenti.
Ella cade atterrita; né più profferisce parola. Esangue era il suo corpo come corpo di morta.
Eccole, le Baccanti, cosparsi i capelli sul dorso: eccoli, i lievi Satiri, che in folla precedono il Dio.
Oh sul curvo asinello ecco il vecchio ecco l'ebbro Sileno, che barcolla e si aggrappa alla criniera, e via dietro alle Baccanti: ed esse via scappano e tornano, e quello da' da' con la canna alla bestia, il cavaliere maldestro, finché fa un capitombolo giù dall'orecchiuto asinello.
Gridano i satiri: "O Padre, su, levati levati, su!"
Eccolo il Dio! Dal carro che avea coronato di grappoli, il dio le tigri aggiogate guidava con redini d'oro.
Teseo, calore, voce, tutto perdè la fanciulla; tre volte ella tenta la fuga, tre volte il terrore la inchioda.
Rabbrividì tremando, come al vento la sterile spiga, come le canne lievi nell'acquosa palude.
Il Dio le parla: "Io vengo amore più fido al tuo amore. Non temere: di Bacco sarai, Arianna, la sposa. Io t'offro il cielo; dal cielo più volte alla nave smarrita, darà fulgente stella, la Gnosia Corona la via."
Disse, e balzò dal cocchio, perchè non temesse le tigri, la sua fanciulla. E il lido cedeva di sotto ai suoi passi.
La portò via serrata fra le sue braccia; era vano ogni contrasto. Un Dio facilmente può tutto.
Si leva ora il canto: "Imeneo". Risuona ora il grido "Evoè!"


 
***


Gnosis in ignotis amens errabat harenis,
qua brevis aequoreis Dia feritur aquis;
utque erat e somno tunica velata recincta,
nuda pedem, croceas inreligata comas,
Thesea crudelem surdas clamabat ad undas
indigno teneras imbre rigante genas.
Clamabat flebatque simul; sed utrumque decebat:
non facta est lacrimis turpior illa suis.
Iamque iterum tundens mollissima pectora palmis
"Perfidus ille abit! Quid mihi fiet?" ait.
"Qui mihi fiet?" ait: sonuerunt cymbala toto
litore et attonita tympana pulsa manu.
Excidit illa metu rupitque novissima verba;
nullus in exanimi corpore sanguis erat.
Ecce Mimallonides sparsis in terga capillis,
ecce leves Satyri, praevia turba Dei,
Ebrius ecce senex: pando Silenus asello
Vix sedet et pressas continet arte iubas;
dum sequitur Bacchas, Bacchae fugiuntque petuntque,
quadrupedem ferula dum malus urget eques,
in caput aurito cecidit delapsus asello:
clamarunt Satyri "Surge age, surge Pater!"
Iam Deus in curru, quem summum texerat uvis,
tigribus adiunctis aurea lora dabat:
et color et Theseuset vox abiere puellae
terque fugam petit terque retenta metu est;
horruit, ut sterilis agitat quas ventus aristas,
ut levis in madida canna palude tremit.
Cui Deus "en, adsum tibi cura fidelior", inquit,
"Pone metum: Bacchi, Gnosias, uxor eris!
Munus habe caelum: caelo spectabere sidus;
saepe reges dubiam Cressa Corona ratem."
Dixit, et e curru, ne tigres illa timeret,
deesilit: inposito cessit harena pede:
inplicitamque sinu (neque enim pugnare valebat)
abstulit: in facili est omnia posse Deo.
Pars "Hymenaee" canunt, pars clamant Euhion, "Euhoe!"