Carlo Michelstaedter


Autore "sconosciuto", filosofo e poeta, suicidatosi giovanissimo nel 1910. Eppure ci ha lasciato molte belle poesie  - diciamolo, alcune quasi profetiche riguardanti la sua scelta suicida... - le trovate pubblicate nell'Adelphi insieme a un bel commento critico di Sergio Campailla. Riporto qualche citazione:

"La sua volontà di non più fermarsi, di andare oltre il deserto, al mare: il tema del mare si articola secondo una simbologia polisensa, efficacemente innervata da suggestioni ibseniane che dà alla sua estrema esperienza il carattere di una navigazione esistenziale, la cui rotte, heideggerianamente, è indicata dall'Essere-per-la-Morte"

"La terra nell'ideologia negativa di Michelstaedter è kakfkianamente, terra come deserto... e mare e infinito, infatti, si richiamano profondamente. Michelstaedter tenta di farsi poeta dell'impoetico presente e vi riesce dilatandolo in quel presente eterno che è l'infinito... come tempo perfetto, nelle dimensioni dell'utopia".

E ora lasciamo parlare i versi di Carlo Michelstaedter!


Se camminando vado solitario
per campagne deserte e abbandonate
se parlo con gli amici, di risate,
ebbri, e di vita,

se studio o sogno, se lavoro o rido
o se uno slancio d'arte mi trasporta
se miro la natura ove risorta
a vita nuova,

Te sola, del mio cor dominatrice
te sola penso, a te freme ogni fibra
a te il pensiero unicamente vibra
a te adorata.

A te mi spinge con crescente furia
una forza che pria non m'era nota,
senza di te la vita mi par vuota
triste ed oscura.

Ogni energia latente in me si sveglia
all'appello possente dell'amore
vorrei che tu vedessi entro al mio cuore
la fiamma ardente.

Vorrei levarmi verso l'infinito
etere e a lui gridar la mia passione
vorrei comunicar la ribellione
all'universo.



"La notte"

Tace la notte intorno a me solenne
le ore vanno e sfilan le memorie
siccome un nero e funebre convoglio

Del cielo nelle oscurità remote
nell'ombra amica che con man soave
le grevi forme della chiesa lambe,
nell'ombra amica che gl'uomini culla
col lento canto della pace eterna
vedo di forme strane scatenarsi
una ridda veloce e affascinante
vedo la mente umana abbacinata
chinar la fronte...

Ma il mio pensiero innalzasi sdegnoso
e squarcia il manto della notte bruna
libero, e vola, -
vola alla luce pura trionfante
vola al sole del vero, dove i forti
stan combattendo l'immortale agone
cinti le tempie d'agile corone,
vola esultante.


I

Cade la pioggia triste senza posa
a stilla a stilla
e si dissolve. Trema
la luce d'ogni cosa. Ed ogni cosa
sembra che debba
nell'ombra densa dileguare e quasi
nebbia bianchiccia perdersi e morire
mentre filtri voluttuosamente
oltre i diafani fili di pioggia
come lame d'acciaio vibranti.

Così l'anima mia si discolora
e si dissolve indefinitamente
che fra le tenui spire l'universo
volle abbracciare.

Ah! che svanita come nebbia bianca,
nell'ombra folta della notte eterna
è la natura e l'anima smarrita
palpita e soffre orribilmente sola
sola e cerca l'oblio.


III

O vita, o vita ancor mi tieni, indarno
l'anima si divincola, ed indarno
cerca di penetrar il tuo mistero
cerca abbracciare in un amplesso immenso
ogni tuo aspetto. -
Amore e Morte, l'universo e 'l nulla
necessità crudele della vita
tu mi rifiuti.

(febbraio 1907)


Senti Iolanda com'è triste il sole
e come stride l'alito del vento
passa radendo i vertici fioriti
un nembo irresistibile.

Senti, è sinistro il grido degli uccelli
vedi che oscura è l'aria
ed è fuliggine
nel raggio d'ogni luce e dal profondo
sembra levarsi tutto quanto è triste
e doloroso nel passato e tutte
le forze brute in fremito ribelle
contaminarsi irreparabilmente.

...

Perchè di fosca fiamma la pupilla
s'accende nel languore disperato?



Sente nel sol la voce dolorosa
dell'universo, - e l'abisso l'attira
l'agita con un brivido d'orrore
siccome l'onda suol l'alga marina
che le tenaci aggrappa
radici nell'abisso e ride al sole.



Da "Aprile" (1910) :

Pur tu permani, o Morte, e tu m'attendi
o sano o tristo, ferma ed immutata,
morte benevolo porto sicuro.
Che ai vivi morti quando pur sia vano
quanto la vita il pallido tuo aspetto
e se morir non sia che continuar
la nebbia maledetta
e l'affanno agli schiavi della vita -
- purché alla mia pupilla questa luce
che pur guarda la tenebra si spenga
e più non sappia questo ch'ora soffro
vano tormento senza via né speme,
tu mi sei cara mille volte, o Morte,
che il sonno verserai senza risveglio
su quest'occhio che sa di non vedere,
sì che l'oscurità per me sia spenta.



Nei giorni del dolore e nelle notti
senza riposo, nella valle triste
della sorda fatica e del tormento
senza speranza, nel mio dubitare
cieco, quando l'abisso dell'inerzia,
dell'abbandono m'era aperto ai piedi,
allor fioca scintilla io l'allevava
il mio sogno lontano, ancor ch'io fossi
d'ogni certa speranza privo al tutto.



"All'Isonzo"

Dalle nevose gole, dai torbidi
monti lontani con lena rabida,
con aspro sibilo soffia la raffica,
rompe la densa greve nebbia,
stringe le basse grigie nubi
e le respinge in onde gravide.

Passa radendo sui pioppi tremoli
- sul nero piano incombe il peso
della ciclopica lotta dell'etere.
Ma a lei più forte risponde l'impeto
selvaggio e giovine del fiume rapido
cui le corrose ripe trattengono:
il suo possente muggito al sibilo
della procella commesce e il vivido
chiaror del lontano sereno
riflette livido, nell'onda torbida.

E al mar l'annuncio porta della lotta
che nebbia e vento nel ciel combattono,
al mar l'annuncio porta del tumulto
che in cor m'infuria quando la nausea,
quando il torpore, il dubbio, l'abbandono
per la tua vista, Argia (*), più fervido
l'ardir combatte e sogna il mare libero.


Argia Cassini, è la donna amata dal Poeta, da lui chiamata anche "Senia".