Cesare Pavese



"Luna d'Agosto"

Al di là delle gaie colline c'è il mare,
al di là delle nubi. Ma giornate tremende
di colline ondeggianti e crepitanti nel cielo
si frammettono prima del mare. Quassù c'è l'ulivo
con la pozza d'acqua che non basta a specchiarsi,
e le stoppie, le stoppie, che non cessano mai.
E si leva la luna. Il marito è disteso
in un campo, col cranio spaccato dal sole
- una sposa non può trascinare un cadavere come un sacco -
Si leva la luna, che getta un po' d'ombra
sotto i rami contorti. La donna nell'ombra
leva un ghigno atterrito al faccione di sangue
che coagula e inonda ogni piega dei colli.
Non si muove il cadavere disteso nei campi
né la donna nell'ombra. Pure l'occhio di sangue
pare ammicchi a qualcuno e gli segni una strada.
Vengono brividi lunghi per le nude colline
di lontano, e la donna se li sente alle spalle,
come quando correvano il mare del grano.
Anche invadono i rami dell'ulivo sperduto
in quel mare di luna, e già l'ombra dell'albero
pare stia per contrarsi e inghiottire anche lei.
Si precipita fuori, nell'orrore lunare,
e la segue il fruscio della brezza sui sassi
e una sagoma tenue che le morde le piante,
e la doglia nel grembo. Rientra curva nell'ombra
e si butta sui sassi e si morde la bocca.
Sotto, scura la terra, si bagna di sangue.


"Gente che c'è stata"

Luna tenera e brina sui campi nell'alba
assassinano il grano.
Sul piano deserto
qua e là putrefatto (ci vuole del tempo
perchè il sole e la pioggia sotterrino i morti)
era ancora un piacere svegliarsi e guardare
se la brina copriva anche quelli. La luna
innondava, e qualcuno pensava al mattino
quando l'erba sarebbe spuntata più verde.
Ai villani che guardano piangono gli occhi.
Per quest'anno al ritorno del sole, se torna,
foglioline bruciate saran tutto il grano.
Trista luna - non sa che mangiare le nebbie,
e le brine al sereno hanno un morso di serpe,
che dal verde fa tanto letame. Ne han dato letame
alla terra; ora torna in letame anche il grano,
e non serve guardare, e sarà tutto arso,
putrefatto. è un mattino che toglie ogni forza
solamente svegliarsi e girare da vivi
lungo i campi.
Vedranno più tardi spuntare
qualche timido verde sul piano deserto,
sulla tomba del grano, e dovranno lottare
a ridurre anche quello in letame, bruciando.
Perchè il sole e la pioggia proteggono solo le erbacce
e la brina, toccato che ha il grano, non torna.


"La notte"

Ma la notte ventosa, la limpida notte
che il ricordo sfiorava soltanto, è remota,
è un ricordo. Perdura una calma stupita
fatta anch'essa di foglie e di nulla. Non resta, di quel tempo di là dai ricordi, che un vago
ricordare.
Talvolta ritorna nel giorno
nell'immobile luce del giorno d'estate,
quel remoto stupore.
Per la vuota finestra
il bambino guardava la notte sui colli
freschi e neri, e stupiva di trovarli ammassati:
vaga e limpida immobilità. Fra le foglie
che stormivano al buio, apparivano i colli
dove tutte le cose del giorno, le coste
e le piante e le vigne, eran nitide e morte
e la vita era un'altra, di vento, di cielo,
e di foglie e di nulla.
Talvolta ritorna
nell'immobile calma del giorno il ricordo
di quel vivere assorto, nella luce stupita.


"Incontro"

Queste due colline che han fatto il mio corpo
e lo scuotono a tanti ricordi, mi han schiuso il prodigio
di costei, che non sa che la vivo e non riesco a comprenderla.
L'ho incontrata, una sera: una macchia più chiara
sotto le stelle ambigue, nella foschia d'estate.
Era intorno il sentore di queste colline
più profondo dell'ombra, e d'un tratto suonò
come uscisse da queste colline, una voce più netta
e aspra insieme, una voce di tempi perduti.
Qualche volta la vedo, e mi vive dinnanzi
definita, immutabile, come un ricordo.
Io non ho mai potuta afferrarla: la sua realtà
ogni volta mi sfugge e mi porta lontano.
Se sia bella, non so. Tra le donne è ben giovane:
mi sorprende, a pensarla, un ricordo remoto
dell'infanzia vissuta tra queste colline,
tanto è giovane. è come il mattino. Mi accenna negli occhi
tutti i cieli lontani di quei mattini remoti.
E ha negli occhi un proposito fermo: la luce più netta che abbia avuto mai l'alba su queste colline.
L'ho creata dal fondo di tutte le cose
che mi sono più care, e non riesco a comprenderla.


"Mattino"

La finestra socchiusa contiene un volto
sopra il campo del mare. I capelli vaghi
accompagnano il tenero ritmo del mare.
Non ci sono ricordi su questo viso.
Solo un'ombra fuggevole, come di nube.
L'ombra è umida e dolce come la sabbia
di una cavità intatta, sotto il crepuscolo.
Non ci sono ricordi. Solo un sussurro
che è la voce del mare fatto ricordo.
Nel crepuscolo l'acqua molle dell'alba
che s'imbeve di luce, rischiara il viso.
Ogni giorno è un miracolo senza tempo,
sotto il sole: una luce salsa s'impregna
e un sapore di frutto marino vivo.
Non esiste ricordo su questo viso.
Non esiste parola che lo contenga
o accomuni alle cose passate. Ieri,
dalla breve finestra è svvanito come
svanirà tra un istante, senza tristezza
né parole umane, sul campo del mare.

"Paesaggio VII"

Basta un poco di giorno negli occhi chiari
come il fondo di un'acqua, e la invade l'ira,
la scabrezza del fondo che il sole riga.
Il mattino che torna e la trova viva,
non è dolce nè buono: la guarda immoto
tra le case di pietra, che chiude il cielo.
Esce il piccolo corpo tra l'ombra e il sole
come un lento animale, guardandosi intorno,
non vedendo null'altro se non colori.
Le ombre vaghe che vestono la strada e il corpo
le incupiscono gli occhi, socchiusi appena
come un'acqua, e nell'acqua traspare un'ombra.
I colori riflettono il cielo calmo.
Anche il passo che calca i ciottoli lento
sembra calchi le cose, pari al sorriso
che le ignora e le scorre come acqua chiara.
Dentro l'acqua trascorrono minacce vaghe.
Ogni cosa nel giorno s'increspa al pensiero
che la strada sia vuota, se non per lei.


"Due sigarette"

Ogni notte è la liberazione. Si guarda i riflessi
dell'asfalto sui corsi che si aprono lucidi al vento.
Ogni rado passante ha una faccia e una storia.
Ma a quest'ora non c'è più stanchezza: i lampioni a migliaia
sono tutti per chi si sofferma a sfregare un cerino.
La fiammella si spegne sul volto della donna
che mi ha chiesto un cerino. Si spegne nel vento
e la donna delusa ne chiede un secondo
che si spegne: la donna ora ride sommessa.
Qui possiamo parlare a voce alta e gridare,
ché nessuno ci sente. Leviamo gli sguardi
alle tante finestre - occhi spenti che dormono -
e attendiamo. La donna si stringe le spalle
e si lagna che ha perso la sciarpa a colori
che la notte faceva da stufa. Ma basta appoggiarci
contro l'angolo e il vento non è più che un soffio.
Sull'asfalto consunto c'è già un mozzicone.
Questa sciarpa veniva da Rio, ma dice la donna
che è contenta di averla perduta, perchè mi ha incontrato.
Se la sciarpa veniva da Rio, è passata di notte
sull'oceano inondato di luce del gran transatlantico.
Certo, notti di vento. è il regalo di un suo marinaio.
Non c'è più il marinaio. La donna bisbiglia
che, se salgo con lei, me ne mostra il ritratto
ricciolino e abbronzato. Viaggiava su sporchi vapori
e puliva le macchine: io sono più bello.
Sull'asfalto c'è due mozziconi. Guardiamo nel cielo:
la finestra là in alto - mi addita la donna - è la nostra.
Ma lassù non c'è stufa. La notte, i vapori sperduti
hanno pochi fanali o soltanto le stelle.
Traversiamo l'asfalto a braccetto, giocando a scaldarci.


"Dopo"

La collina è distesa e la pioggia l'impregna in silenzio.
Piove sopra le case: la breve finestra
s'è riempita di un verde più fresco e più nudo.
La compagna non vede la nuda collina
assopita nell'umidità: passa in strada
e la gente che l'urta non sa.
Verso sera
la collina è percorsa da brani di nebbia,
la finestra ne accoglie anche il fiato. La strada
a quest'ora è deserta; la sola collina
ha una vita remota nel corpo più cupo.
Giacevamo spossati nell'umidità
dei due corpi, ciascuno assopito sull'altro.
Una sera più dolce, di tiepido sole
e di freschi colori, la strada sarebbe una gioia.
è una gioia passare per strada, godendo
un ricordo del corpo, ma tutto diffuso d'intorno.
Nelle foglie dei viali, nel passo indolente di donne,
nelle voci di tutti, c'è un po' della vita
che i due corpi han scrdato ma è pure un miracolo.
E scoprire giù in fondo a una via la collina
tra le case, e guardarla e pensare che insieme
la compagna la guardi, dalla breve finestra.
Dentro il buio è affondata la nuda collina
e la pioggia bisbiglia. Non c'è la compagna
che ha portato con sé il corpo dolce e il sorriso.
Ma domani nel cielo lavato dall'alba
la compagna uscirà per le strade, leggera
del suo passo. Potremo incontrarci, volendo.


"La voce"

Ogni giorno il silenzio della camera sola
si richiude sul lieve sciacquìo d'ogni gesto
come l'aria. Ogni giorno la breve finestra
s'apre immobile all'aria che tace. La voce
rauca e dolce non torna nel fresco silenzio.
S'apre come il respiro di chi stia per parlare
l'aria immobile, e tace. Ogni giorno è la stessa.
E la voce è la stessa, che non rompe il silenzio,
rauca e uguale per sempre nell'immobilità
del ricordo. La chiara finestra accompagna
col suo palpito breve la calma d'allora.
Ogni gesto percuote la calma d'allora.
Se suonasse la voce, tornerebbe il dolore.
Tornerebbero i gesti nell'aria stupita
e parole povere alla voce sommessa.
Se suonasse la voce anche il palpito breve
del silenzio che dura, si farebbe dolore.
Tornerebbero i gesti del vano dolore,
percuotendo le cose nel rombo del tempo.
Ma la voce non torna, e il sussurro remoto
non increspa il ricordo. L'immobile luce
dà il suo palpito fresco. Per sempre il silenzio
tace rauco e sommesso nel ricordo d'allora.


"Paesaggio VIII"

I ricordi cominciano nella sera
sotto il fiato del vento a levare il volto
e ascoltare la voce del fiume. L'acqua
è la stessa, nel buio, degli anni morti.
Nel silenzio del buio, sale uno sciacquo
dove passano voci e risa remote;
s'accompagna al brusio un colore vano
che è di sole, di rive e di sguardi chiari.
Un'estate di voci. Ogni viso contiene
come un frutto maturo un sapore andato.
Ogni occhiata che torna, conserva un gusto
di erba e cose impregnate di sole a sera
sulla spiaggia. Conserva un fiato di mare.
Come un mare notturno è quest'ombra vaga
di ansie e brividi antichi, che il cielo sfiora
e ogni sera ritorna. Le voci morte
assomigliano al frangersi di quel mare.



"Poggio Reale"

Una breve finestra nel cielo tranquillo
calma il cuore; qualcuno c'è morto contento.
Fuori, sono le piante e le nubi, la terra
e anche il cielo. Ne giunge quassù il mormorio.
I clamori di tutta la vita.
La vuota finestra
non rivela che, sotto le piante, ci sono colline
e che un fiume serpeggia lontano, scoperto.
L'acqua è limpida come il respiro del vento,
ma nessuno ci bada.
Compare una nube
soda e bianca, che indugia, nel quadrato del cielo.
Scorge case stupite e colline, ogni cosa
che traspare nell'aria, vede uccelli smarriti
scivolare nell'aria. Viandanti tranquilli
vanno lungo quel fiume e nessuno s'accorge
della piccola nube.
Ora è vuoto l'azzurro
nella breve finestra: vi piomba lo strido
di un uccello, che spezza il brusio. Quella nube
forse tocca le piante o discende nel fiume.
L'uomo stesso nel prato dovrebbe sentirla
nel respiro dell'erba. Ma non muove lo sguardo,
l'erba sola si muove. Dev'essere morto.


"Lo steddazzu"

L'uomo solo si leva che il mare è ancor buio
e le stelle vacillano. Un tepore di fiato
sale su dalla riva, dov'è il letto del mare,
e addolcisce il respiro. Quest'è l'ora in cui nulla
può accadere. Perfino la pipa tra i denti
pende spenta. Notturno è il sommesso sciacquio.
L'uomo solo ha già acceso un gran fuoco di rami
e lo guarda arrossare il terreno. Anche il mare
tra non molto sarà come il fuoco, avvampate.
Non c'è cosa più amara che l'alba di un giorno
in cui nulla accadrà. Non c'è cosa più amara
che l'inutilità. Pende stanca nel cielo
una stella verdognola, sorpresa dall'alba.
Vede il mare ancora buio e la macchia di fuoco
a cui l'uomo, per fare qualcosa, si scalda;
vede, e cade dal sonno tra le fosche montagne
dov'è un letto di neve. La lentezza dell'ora
è spietata, per chi non aspetta più nulla.
Val la pena che il sole si levi dal mare
e una lunga giornata cominci? Domani
tornerà l'alba tiepida con la diafana luce
e sarà come ieri e mai nulla accadrà.
L'uomo solo vorrebbe soltanto dormire.
Quando l'ultima stella si spegne nel cielo,
l'uomo adagio prepara la pipa e l'accende.


Hai viso di pietra scolpita,
sangue di terra dura,
sei venuta dal mare.
Tutto accogli e scruti
e respingi da te
come il mare. Nel cuore
hai silenzio, hai parole
inghiottite. Sei buia.
Per te l'alba è il silenzio.
E sei come le voci
della terra - l'urto
della secchia nel pozzo,
la canzone del fuoco,
il tonfo di una mela;
le parole rassegnate
e cupe sulle soglie,
il grido del bimbo - le cose
che non passano, mai.
Tu non muti. Sei buia.
Sei la cantina chiusa,
dal battuto di terra,
dov'è entrato una volta
ch'era scalzo il bambino,
e ci ripensa sempre.
Sei la camera buia
cui si ripensa sempre,
come al cortile antico
dove s'apriva l'alba.
Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l'arma e il nome. Una donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
e il suo nome. Una donna
ci aspetta alle colline.
(9 novembre '45)

Di salmastro e di terra
è il tuo sguardo. Un giorno
hai stillato di mare.
Ci sono state piante
al tuo fianco, calde,
sanno ancora di te.
L'agave e l'oleandro.
Tutto chiudi negli occhi.
Di salmastro e di terra
hai le vene, il fiato.
Bava di vento caldo,
ombre di solleone -
tutto chiudi in te.
Sei la voce roca
della campagna, il grido
della quaglia nascosta,
il tepore del sasso.
La campagna è fatica
la campagna è dolore.
Con la notte il gesto
del contadino tace.
Sei la grande fatica
e la notte che sazia.
Come la roccia e l'erba
come terra, sei chiusa;
ti sbatti come il mare.
La parola non c'è
che ti può possedere
o fermare. Cogli
come la terra gli urti,
e ne fai vita, fiato
che carezza, silenzio.
Sei riarsa come il mare,
come un frutto di scoglio,
e non dici parole
e nessuno ti parla.
(15 novembre '45)

Sempre vieni dal mare
e ne hai la voce roca,
sempre hai occhi segreti,
d'acqua viva tra i rovi,
e fronte bassa, come
cielo basso di nubi.
Ogni volta rivivi
come una cosa antica
e selvaggia, che il cuore
già sapeva e si serra.
Ogni volta è uno strappo,
ogni volta è la morte.
Noi sempre combattemmo.
Chi si risolve all'urto
ha gustato la morte
e la porta nel sangue.
Come buoni nemici
che non s'odiano più
noi abbiamo una stessa
voce, una stessa pena
e viviamo affontati
sotto povero cielo.
Tra noi non insidie,
non inutili cose -
combatteremo sempre.
Combatteremo ancora,
combatteremo sempre,
perchè cerchiamo il sonno
della morte affiancati,
e abbiamo voce roca
fronte bassa e selvaggia
e un identico cielo.
Fummo fatti per questo.
se Tu od io cede all'urto,
segue una notte lunga
che non è pace o tregua
e non è morte vera.
Tu non sei più. Le braccia
si dibattono invano.
Fin che ci trema il cuore.
Hanno detto un tuo nome.
Ricomincia la morte.
Cosa ignota e selvaggia
sei rinata dal mare.
(19-20 novembre '45)

E allora noi vili
che amavamo la sera
bisbigliante, le case,
i sentieri sul fiume,
le luci rosse e sporche
di quei luoghi, il dolore,
addolcito e taciuto -
noi strappammo le mani
dalla viva catena
e tacemmo, ma il cuore
ci sussultò di sangue,
e non fu più dolcezza,
non fu più abbandonarsi
al sentiero sul fiume -
- non più servi, sapemmo
di essere soli e vivi.
(23 novembre '45)

Sei la terra e la morte.
La tua stagione è il buio
e il silenzio. Non vive
cosa che più di te
sia remota dall'alba.
Quando sembri destarti
sei soltanto dolore,
l'hai negli occhi e nel sangue
ma tu non senti. Vivi
come vive una pietra,
come la terra dura.
E ti vestono sogni
movimenti singulti
che tu ignori. Il dolore
come l'acqua di un lago
trepida e ti circonda.
Sono cerchi sull'acqua.
Tu ti lasci svanire.
Sei la terra e la morte
(3 dicembre '45)


"In the morning you always come back"

Lo spiraglio
respira con la tua bocca
in fondo alle vie vuote.
Luce grigia i tuoi occhi,
dolce gocce dell'alba
sulle colline scure.
Il tuo passo e il tuo fiato
come il vento dell'alba
sommergono le case.
La città abbrividisce,
odorano le pietre -
sei la vita, il risveglio.
Stella sperduta
nella luce dell'alba,
cigolio della brezza,
tepore, respiro -
è finita la notte.
Sei la luce e il mattino
(20 marzo '50)


I mattini passano chiari
e deserti. Così i tuoi occhi
s'aprivano un tempo. Il mattino
trascorreva lento, era un gorgo
d'immobile luce. Taceva.
Tu viva tacevi; le cose
vivevano sotto i tuoi occhi
(non pena non febbre non ombra)
come un mare al mattino, chiaro.
Dove sei tu, luce, è il mattino.
Tu eri la vita e le cose.
In te desti respiravamo
sotto il cielo che ancora è in noi.
Non pena non febbre allora,
non quest'ombra greve del giorno
affollato e diverso. O luce,
chiarezza lontana, respiro
affannoso, rivolgi gli occhi
immobili e chiari su di noi.
è buio il mattino che passa
senza la luce dei tuoi occhi
(30 marzo '50)

"The night you slept"

Anche la notte ti somiglia,
la notte remota che piange
muta, dentro il cuore profondo,
e le stelle passano stanche.
Una guancia tocca una guancia -
è un brivido freddo, qualcuno
si dibatte e t'implora, solo,
sperduto in te, nella tua febbre.
La notte soffre e anela l'alba,
povero cuore che sussulti.
O viso chiuso, buia angoscia,
febbre che rattristi le stelle,
c'è chi come te attende l'alba
scrutando il tuo viso in silenzio.
Sei distesa sotto la notte
come un chiuso orizzonte morto.
Povero cuore che sussulti,
un giorno lontano eri l'alba.
(4 aprile '50)


Da "Il mestiere di vivere"

L'uomo comincia a bestemmiare con rabbia e tenacia: con la precisa intenzione di offendere questo dio eventuale, pensa che dopotutto, se c'è, ogni bestemmia è un colpo di martello sui chiodi della croce e un dispiacere fatto a colui. Poi dio si vendicherà - è il suo sistema - manderà altre disgrazie, metterà all'inferno, ma capovolga il mondo, nessuno gli toglierà il dispiacere provato, la martellata sofferta. Nessuno! è una bella consolazione. E certo ciò rivela che dopotutto questo dio non ha pensato a tutto, è il padrone assoluto, il tiranno, il tutto, l'uomo è una merda, un nulla, e pure l'uomo ha questa possibilità di farlo irritare e scontentarlo, e mandargli a male un attimo della sua beata esistenza. Questa è davvero la migliore testimonianza che noi possiamo dare della nostra dignità.