Corrado Govoni

Info tratte da


Corrado Govoni (1884-1965) ha attraversato esperienze letterarie tra loro assai diverse, senza legarsi in modo definitivo a nessuna di esse, ma traendone stimoli per portare avanti un suo personale discorso di svecchiamento e di innovazione della poesia italiana. 
Nato vicino a Ferrara da un'agiata famiglia di agricoltori, ancora giovane entra in rapporti di amicizia con alcuni poeti crepuscolari e pubblica le prime raccolte di versi: "Le fiale" in cui si avverte ancora l'influsso dannunziano, "Armonia in grigio et in silenzio", che risente dei toni crepuscolari, "Fuochi d'artifizio", "Gli aborti", "Poesie elettriche" e "Rarefazioni e parole in libertà" - di ispirazione futurista - , "Canzoni a bocca chiusa", "Govonigiotto". Di tono diverso è "Aladino", un libro dedicato al figlio ucciso dai nazisti nel massacro delle Fosse Ardeatine, nel quale il dolore e lo strazio trovano sfogo in imprecazioni, esclamazioni, forme metriche contratte.
Muore a Roma nel 1965.

"Fuochi d'artifizio" è una raccolta nella quale sono presenti tutte le caratteristiche del primo tempo della poesia di Govoni che, pur legato ancora ai toni crepuscolari, vi immette il suo gusto per i suoni, i colori, le analogie. In una lettera al poeta Gian Pietro Lucini (*), Govoni scrive: "Ho sempre amato le cose tristi, la musica girovaga, i canti d'amore cantati dai vecchi nelle osterie, i mendichi pittorescamente stracciati e malati, i convalescenti, gli autunni malinconici pieni d'addii... le campane magnetiche, le chiese dove piangono indifferentemente i ceri, le rose che si sfogliano sugli altarini nei canti delle vie deserte in cui cresce l'erba; tutte le cose tristi della religione, le cose tristi dell'amore, le cose tristi del lavoro, le cose tristi della miseria."
In questo repertorio di temi malinconici tipicamente crepuscolari possiamo però già notare la presenza di qualche immagine sorprendente, per esempio, "le campane magnetiche, i ceri che piangono", che ci fanno intuire quale sia la visione che il poeta ha del mondo e della poesia. Per Govoni la vita è una superficie colorata e festosa, ricca di luci e suoni che la poesia deve riprodurre attraverso un fluire continuo di immagini e di collegamenti audaci. Ecco allora che le rondini sono "spole canore pel telaio grande dell'azzurro", il vetro della finestra è "lagrimale, la tristezza s'appoggia a una spalliera" e così via.
Due sono le tecniche privilegiate dal poeta per realizzare questa "cavalcata d'immagini": l'elencazione e l'analogia.

Analisi alla poesia "Crepuscolo ferrarese": la poesia descrive un paesaggio quotidiano e familiare colto nell'ora del crepuscolo. Lo sguardo del poeta si posa dapprima sullo spazio interno, poi si sposta all'esterno per tornare infine nel chiuso della stanza dove lo specchio riflette la luce giallastra del lampadario.
La lirica è costruita con la tecnica dell'elencazione che accentua la sensazione di indolenza comunicata da alcune immagini: il gatto che sbadiglia contro i vetri, i ritratti sulla parete, testimonianza di un passato ormai lontano, il lume che si riflette nello specchio, simile ora ad una nave affondata ora a un polipo che emerge dalle acque di un mare giallastro e spumoso, la ventarola mossa dal vento che suggerisce un senso di costrizione, lo stato d'animo del poeta personificato nell'immagine della tristezza e così via.
Altre immagini, però, comunicano sensazioni di luce, di colore, di leggerezza, di movimento, come per esempio il geranio che rinfresca i fiori lilla, la tenda che sciorina, gli acquiloni che capriolano nel cielo come bambini. Ne scaturisce l'immagine di un mondo vivace, movimentato, vociante, che trasmette allegria e gioia di vivere, smentendo l'impressione di malinconia suggerita dal titolo.


Il mao (1) si stira sopra il davanzale
sbadigliando nel vetro lagrimale. (2)  

Nella muscosa (3) pentola d'argilla
il geranio rinfresca i fiori lilla.

La tenda della camera sciorina (4)  
le sue rose di fine mussolina. (5)
  
I ritratti che sanno tante storie
son disposti a ventaglio di memorie.

Nella bonaccia della psiche ornata
il lume sembra una nave affondata. (6)  

Sul tetto d'una prossima chiesuola
sopra una pertica una ventarola (7)  

agita l'ali come un uccelletto
che in un laccio per i piedi sia stretto.

Altissimi, per l'aria, dai bastioni, (8)  
capriolano (9) fantastici aquiloni.

Le rondini bisbigliano nel nideo.
Un grillo dentro l'orto fa il suo strido.

Il cielo chiude nella rete d'oro
la terra come un insetto canoro. (10)

Dentro lo specchio, tra giallastre spume
ritorna a galla il polipo del lume. (11)

La tristezza s'appoggia a una spalliera (12)
mentre le chiese cullano la sera. (13)


(1) il gatto      
(2) le piccole imperfezioni del vetro ricordano le lacrime.
(3) coperta di muschio  
(4) Il verbo indica l'atto dell'esporre all'aria la biancheria lavata. Qui è adoperato metaforicamente e si riferisce al movimento della tenda che sembra voler esporre all'aria le rose stampate sul suo tessuto.
(5) tessuto leggerissimo.
(6) nella superficie dello specchio liscia come quella del mare calmo.
La psiche è uno specchio ottocentesco sostenuto da due perni laterali, solitamente ornati, su cui ruotano le due ali superiore e inferiore.      
(7) banderuola di latta, che indica la direzione del vento. 
(8) le mura che circondano la città  
(9) volteggiano nell'aria come se facessero capriole. 
(10) il cielo dorato del tramonto sembra chiudere la terra nella sua rete, come un insetto ronzante.
(11) nello specchio dalla superficie giallastra si riflette il lampadario che con i suoi bracci sinuosi appare simile ad un polipo.
(12) la tristezza viene paragonata ad una figura femminile che si appoggia alla spalliera di una sedia
(13) allude alle campane che con il loro suono dolce sembrano cullare la sera.

Nota di Lunaria: inserisco qui altri versi di Govoni:




"La dolcezza"

I crepuscoli di sangue che muoiono sulle mura.


"Ventagli giapponesi"

L'alba esprime un'incoronazione di rose mattinali dal suo letto.


"Crepuscolo"

Il crepuscolo è un fulgido vesuvio che trabocca
del sangue incandescente di milioni
di morti tulipani.


"Oro appassito e lilla smontata"

[...] E i fioretti autunnali avevano parole di profumi
soavi simili al sussurro.

Il giardino era pieno di mitologia e di decrepitudine.
Tutte le poese delle statue
eran gravi di malinconia.
Le mani avevan l'aria di sfogliare rose.

E le rose ultime morivano morivano,
per gli oleandri dei sarcofaghi romani,
lungo le cui pareti gialle si sfinivano,
delle danze di ninfe ignude e d'egipani.


"I tetti"

Altri sanguigni, come torchi di tramonti e d'aurore,
come ceppi per le serali, decapitazioni del sole.
[...]
Del pianto tedioso della pioggia autunnale
logori asciugatoi dei crepuscoli violetti.


"Siepe"

All'odore crudele
che viene dalla spine della siepe
il tuo sangue amareggia l'amore
e ti diventan gli occhi
una luce cattiva pigiata.
Sulla tua statua che cammina
aprendo una nuova strada nel vento
invano battono le mie parole
come gocce di rugiada da me scossa.
Prego l'erba dell'argine.
Ti venga incontro
con la lampada avvelenata del gigaro
per far soffrire la tua bocca rossa.


(*) Nota di Lunaria: riporto una poesia di Lucini

"Cristalli di luce ed ombra"

Un mio pensiero Ophelia triste e stanca,
naviga alla deriva di un torrente,
la terra resupina, molle e bianca,
dorme sull'acque sussurranti e lente?
S'attarda il corso, s'attenua manca ed estua
in una gora putrescente.
A che pensiero morbido si stanca a languire
sul volto pigramente?
Muoija il pensiero!
Ophelia è morta e sta sopra il letto dell'acqua immemoriale.
Tonda la Luna, topazio ed opale solecchia sullo stagno.
Il teschio ride; (1)
ghigno convulso di luce s'include.
Brividi lunghi e fredde ambiguità. 

(1) è il teschio celebre dell'"Amleto"